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di Adolfo Fattori

I sopravvissuti nella transizione

dall'occupazione al pensionamento

Un piccolo film di culto della fantascienza degli anni Settanta è 2022 I sopravvissuti di Richard Fleischer (1973), con Charlton Heston e Edward G. Robinson. Ispirato ad un romanzo di Harry Harrison, Largo! Largo!, del 1966 (2007) narra di come, in una Terra del futuro, sovrappopolata e dove le risorse scarseggiano terribilmente, si sia persa progressivamente la memoria dei tempi precedenti: memoria dei sapori, degli odori, delle consuetudini.

Solo pochi anziani, con sempre meno voglia di vivere, ricordano il passato, una memoria collettiva destinata a svanire come lagrime nella pioggia, per citare un altro cult del cinema di science fiction, quando anche l’ultimo di loro deciderà di andare a suicidarsi negli stabilimenti predisposti dallo stato come palliativo al sovraffollamento e alla fame.

Anche se non è certo questo il focus del romanzo – e del film: il tema di fondo è il riciclaggio dei cadaveri come cibo, il soylent, spacciato per plancton, come dice il titolo originale del film – la condizione degli anziani descritta nel futuro distopico e perturbato di Harrison somiglia nella sostanza parecchio a quella attuale. Almeno per la condizione di coloro che si ritrovano espulsi dalla vita attiva. Nel romanzo, e nel film, Solomon Roth, il personaggio inetrpretato da Robinson è un “uomo libro”, specializzato nelle ricerche negli archivi e nelle biblioteche, in una società che non può usare più i computer. Rappresenta la memoria del passato: dei fatti e delle tecnologie per conoscerli, della cultura degli alimenti naturali: la frutta, la carne, gli ortaggi. Solo ricordi, ormai, come in Blade Runner (1982). i ricordi degli animali veri, non delle riproduzioni biotroniche che popolano il mondo del film. Il sapere, insomma, della tradizione.

Viene in mente, 2022, come Up (2009) anche, il film della Pixar, se si pensa alla condizione di chi – in questi anni – si trova a dover gestire il proprio passaggio dal lavoro alla pensione (Pirone, La transizione dall’occupazione al pensionamento, vedi scheda), ritrovandosi ad un bivio, spesso solo con scelte obbligate a disposizione, dopo decenni trascorsi ad essere parte di una collettività, investito di un ruolo sociale preciso – riconoscibile e rispettato.

 

La transizione dal lavoro alla pensione, pur contenendo in sé elementi di liberazione da un’attività produttiva spesso anche molto dura, è un processo destrutturante dell’organizzazione della vita quotidiana… (Pirone, cit. p. 210).

 

In realtà, pur essendo un traguardo da raggiungere, la pensione porta con sé anche la perdita di relazioni e di riconoscimento sociale, specie in quei contesti dove la tradizione aveva creato un forte senso di autoconsapevolezza, in termini di appartenenza ad un gruppo (il sindacato, ad esempio), come in termini di legame – seppur conflittuale – con il lavoro (l’azienda). È una crisi verticale d’identità, quella con cui bisogna fare i conti. Si lascia una vita. Si spera di trovarne un’altra. Per persone che – nella propria rappresentazione dei percorsi di vita – non si aspettavano certo di lasciare la vita attiva attorno ai cinquanta, cinquantacinque anni, abituati a vedere i loro colleghi più anziani lavorare fino anche a dieci anni di più…

Queste persone sono una ricchezza, in termini di memoria collettiva, di saperi, di valori. E di desiderio di essere ancora presenti nella vita collettiva. Correndo il rischio di soffrire della condizione descritta in Umberto D. (1952), la pellicola che fece emergere, in tempi molto diversi dal nostro, la dimensione della solitudine e dell’esclusione degli anziani esplusi dalla vita attiva.

Superando le mortificazioni comunque connesse al rischio di ritrovarsi senza aver niente da fare, alle aspettative nutrite pensando alla fine della propria carriera (p. 231). Scontrandosi con situazioni locali e temporali che producono traiettorie esistenziali molto diverse fra loro. Una prima differenza, forte, emerge fra il nord e il sud: la possibilità, da parte dei neopensionati settentrionali di inserirsi in attività sociali, politiche, sindacali, di volontariato, realizzando una sostanziale convergenza fra la loro esperienza personale e le opportunità offerte dalla comunità locale (Cfr., ad es., p. 274), di contro invece alla situazione spesso sperimentata dai loro simili del sud, rapidamente percepiti come “anziani”, bisognosi spesso solo di intrattenimento e assistenza (Cfr. p. 276).

Altro elemento è, naturalmente, il livello di istruzione di coloro che lasciano la vita attiva: un conto sono coloro che lasciano il lavoro da laureati, con consistenti competenze professionali, spendibili con facilità – magari anche richieste con forza dal mercato, visto che si aggiungono all’esperienza, alle relazioni personali – un conto sono i nuovi pensionati con bassi livelli di specializzazione – le cui capacità, a volte, sono del tutto obsolete (Cfr. pp. 244 e segg.), ma che conservano comunque memoria dei valori della solidarietà, del sindacato…

Insomma, un “capitale sociale” (Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia, 2001) variegato, ma prezioso, la memoria di un’epoca tramontata, che si oppone a quella attuale. Il senso della stabilità e della dimensione collettiva. Tutto ciò che ruotava intorno a termini come “lotta di classe”, “classe operaia” e il patrimonio di esperienze e di pratiche connesse. Ne sono testimonianza i brani di intervista raccolti fra Arese e Pomigliano d’Arco da Francesco Pirone (Cfr., ad es. pp. 175, 180, 212) che danno conto della variabilità e della frammentazione della situazione.

Un universo di persone che – quando ritrovano lavoro – rischiano anche di essere percepiti come coloro che impediscono ai giovani in età – e in cerca – di lavoro – di trovarlo (p. 255). In contraddizione netta con le loro consapevolezze e attese.

Insomma:

 

Fuori dall’occupazione, l’anziano ricopre un ruolo ambiguo, flessibile, non strutturato, senza chiare aspettative da parte degli altri e senza fini immediati. (p. 283).

 

Ed è qui che tornano in mente il tema del film di De Sica citato più sopra, e il paragone con il Solomon Roth di 2022.

Nel film di Richard Fleischer i saperi di cui è custode l’anziano sono di due gradi: conoscenze tecniche, professionali da un parte, ancora necessarie al funzionamento del sistema – e probabilmente sono queste che lo conservano in vita, gli permettono di percepirsi ancora come utile agli altri; e saperi più sottili, legati al ricordo, al passato, alla propria biografia, intrisi – anche – di emotività: quelli connessi ai sapori, agli odori, alla dimensione della naturalità di un ambiente, di un mondo, che non esiste più. Quest’ultimi sono quelli a lui, forse, più cari e preziosi, e percepiti meno significativi dai suoi simili – e il peso della cui nostalgia lo porterà a decidere di abbandonare la vita: questi ricordi, e il valore affettivo che hanno, marcano una differenza incolmabile fra Solomon e i suoi simili più giovani, un’intraducibilità dei significati del mondo, prodotta dalla distanza incolmabile fra il sapere per esperienza e il sapere per sentito dire.

Corriamo anche noi un rischio simile? Che la distanza conoscitiva fra il mondo delle grandi lotte sindacali, delle professionalità della vecchia organizzazione del lavoro industriale – ma prima di tutto dei valori, delle passioni, degli obiettivi di coloro che appartengono alla generazione precedente si perdano nel nulla. E che le battaglie e le conquiste di costoro, fatte anche pensando al futuro di allora – l’attuale presente – in nome dei propri figli, finiscano per trasformarsi in una mitologia confusa e discussa, sottovalutata, insieme a quelle “grandi narrazioni” date ormai per tramontate insieme ai modelli organizzativi del lavoro di un tempo.

Ulteriore beffa, il dubbio di non voler mollare la propria posizione a scapito dei più giovani, magari con la nascosta intenzione di scatenare una “guerra al maiale” come quella raccontata da Adolfo Bioy Casares (2007) in uno dei suoi più cupi romanzi.

 

 


 

:: letture ::

Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A., Trigilia C., Il capitale sociale, Il Mulino, Bologna, 2001.

Bioy Casares A., Diario de la guerra del cerdo, 1969, trad. it. Diario della guerra al maiale, Cavallo di ferro, Roma, 2007.

Harrison H., Make room! Make room!, 1966, trad. it. Largo! Largo!, Mondadori, Milano, 2007.

 

:: visioni ::

De Sica V., Umberto D., Italia, 1952, Medusa Home Entertainment, 2004.

Docter P., Peterson B., Up, Usa, 2009, Buena Vista Home Entertainment, 2010.

Fleischer R., Soylent Green, Usa, 1973, 2022 I sopravvissuti, Warner Bros.

Scott, R., Blade Runner, Usa, 1982, Warner Home Video, 2007.