libroZizekJacquesLacan

letture /
di Daniela Fabro
b1_titolo

Terza o Quarta Via, lo sapevano già i Romani, tertium non datur. A prima vista il progetto di emancipazione radicale di cui teorizza Slavoj Žižek in In difesa delle cause perse (Žižek, 2009a), dando conto dell’attuale dibattito sul superamento della democrazia capitalista, potrebbe sembrare proprio questo e perciò inattuabile. Pur non essendo il migliore dei sistemi possibili, il capitalismo è l’unico che ha sempre funzionato, a dispetto di  Marx, Lenin e tutti i loro seguaci.
Allora, “Che fare?” Il filosofo e psicanalista sloveno rovescia la prospettiva proponendo l’impensabile: i fallimenti non sono davvero tali, come già intuito da Samuel Beckett: “ Prova di nuovo. Fallisci ancora. Fallisci meglio” (Beckett, 1986, pag. 67). Essi indicano, come il sintomo patologico freudiano contiene il nucleo della vera personalità del paziente, la via maestra per riscoprire e realizzare l’autonomia del soggetto, per farlo diventare un cittadino in grado di difendere i propri interessi “bombardando i potenti con domande strategicamente ben scelte, precise, finite…” (Žižek, 2009a, pag. 435). Ma il processo richiede una vera e propria demistificazione di tutti i luoghi comuni, le retoriche, le false coscienze, i miti e i riti di una coesione sociale ottenuta a prezzo della prevaricazione dei soggetti più deboli, che poi di volta in volta sono tutti gli uomini, a seconda dei rapporti di forza che si instaurano tra loro.
Karl Marx e Sigmund Freud avevano indicato la strada e fornito gli strumenti proprio a tale scopo. Possibile che i revisionismi, i populismi, i moralismi, i fideismi, le demagogie dell’ultimo scorcio del Novecento abbiano fatto perdere queste preziosissime bussole? Con un lavoro davvero improbo, che implica uno sforzo intellettuale da Titano, Žižek ha scritto pagine e pagine sulla questione, affrontandola sul piano sociologico e psicoanalitico e scrivendo pagine imprescindibili – e molto godibili – su argomenti filosofici e politici che meritano davvero una riflessione approfondita da parte di tutti. Anche se solo lui sa padroneggiare così e mettere in relazione tra loro Cartesio e Spinoza, Kant e Hegel e soprattutto analizzare Jacques Lacan, per fornire una guida perversa alla modernità, perversa come la dimensione più radicale dell’esistenza umana. 
Ecco allora anche la cultura pop, di cui Žižek si rivela un profondo conoscitore, assumere tutta un’altra dimensione, fuori dalle retoriche del marketing e delle classifiche di vendita. Così il senso del cinema, analizzato in quel capolavoro di critica cinematografica “ermeneutica” che è l’altro libro di Žižek, Lacrimae rerum (Žižek, 2009b), non consiste soltanto nelle due ore di svago che regala alla platea.
“I film non solo non sono quello che sembrano, ma soprattutto sembrano quello che non possono essere”, si legge sul risvolto di copertina. Perché l’inconscio – di Krzysztof Kieslowsky, di Alfred Hitchcock, di Andrej Tarkoskij, di David Lynch, dei registi di Casablanca e di Pic Nic ad Hanging Rock per non parlare dei fratelli Wachoswki, gli autori di Matrix – è un linguaggio ed è per questo che la psicoanalisi, nonostante le numerose campane a morto, è ancora più viva che mai.
Perché le scene per cui è famoso Hitchcock tengono il pubblico con il fiato sospeso? A partire dalla scoperta nelle pieghe delle sue sceneggiature di dettagli apparentemente inutili nell’economia della trama, Žižek conclude che evidentemente il regista è partito da alcuni temi che tormentavano la sua immaginazione per costruirci sopra solo dopo la narrazione; ha inventato certe storie allo scopo di girare un certo tipo di scene; le quali costituiscono, come il sinthomo lacaniano, non un significato, un senso, ma la pienezza di un investimento libidico. Per questo motivo, e non perché sia il maestro della suspense, e nonostante “le sue trame offrano un punto di vista divertente e spesso perspicace sui nostri tempi, è nei suoi sinthomi che Hitchcock vive per sempre: essi sono il vero motivo per cui i suoi film continuano a fungere da oggetti del nostro desiderio” (Žižek, 2009b, pag. 121).
Altro film e stesso investimento libidico: tutta la censura hollywoodiana è strumentale alla sessualizzazione di ogni scena epurata. Vedendo Casablanca – nel dialogo in albergo tra Rick e Ilse per i passaporti, in cui l’ambiguità del concatenarsi di uno scambio di battute con alcune sospensioni spazio-temporali dell’azione potrebbe far pensare che abbiano fatto l’amore (o anche no) – si è autorizzati a immaginarsi la scena di sesso oppure no, a seconda del proprio grado di sofisticazione intellettuale. Ma non c’è bisogno di due spettatori diversi. Per le convenienze sociali non c’è stata scena di sesso ma, in uno stesso individuo, per “la sua immaginazione fantasmatica indecente, sì; questa è la struttura della trasgressione innata allo stato puro: Hollywood ha bisogno di ambedue (il corsivo è dell’autore) i livelli per funzionare” (Žižek, 2009b, pag. 190). Perché le apparenze contano. Ma oggi che il sesso è ossessivamente ed indecentemente, Žižek direbbe oscenamente, esibito, dove sta la sua carica erotica? Non certo nel corpo delle donne “senza donne” della televisione post civiltà. Ma attenzione, seguendo il pensiero di Žižek – che postmoderno non vuole essere definito: per lui siamo ancora dentro la modernità e dobbiamo saper affinare gli strumenti interpretativi per capirla e indirizzarla – bisogna concludere che la donna oggetto è riprovevole non per motivi, ma nel nostro stesso interesse. Perché non è vero che al posto dell’etica oggi comanda l’estetica: le due istanze non sono contrapposte. Ad essere contrapposti sono, come sempre, gli interessi di parte – e le donne paiono non saper più difendere i loro – diabolicamente sminuzzati e miscelati nel frullatore mediatico. 
Allo stesso modo opera anche la saga di Matrix che vista da uno spettatore “ingenuo” dà buoni motivi per credere che la realtà non esiste più. La Realtà Virtuale, liberando gli uomini dai loro corpi, ha liberato anche le macchine dalle “loro” persone.
Cosa significa se Mike Bongiorno, nello spot ancora andato in onda dopo i suoi funerali, diventa un simulacro che sembra ripetere: “Sono il solo ancora vivo. Voi siete tutti morti”? (Dick, 1995, pag. 141). Che un po’ morto lo spettatore lo è – lo hanno fatto diventare –  veramente, incapace di distinguere un fatto da un sedicente evento, una presa di posizione politica da uno show, un ragionamento da una seduzione, una notizia da una pubblicità, un classico della letteratura da un best seller, una performance di body art da una mascherata. 
Gli intellettuali come Žižek non devono smettere di “perdere tempo” a riscattare la cultura perché le virtù civiche non verranno certo riscattate dal televoto, ma nemmeno da Internet. 
Il cyberspazio, non più democratico della tv – l’interfacciamoci di Twitter è un’esortazione a guardare uno schermo e non una faccia e dietro gli amici di Facebook non si sa chi si nasconde – è una soluzione molto comoda per chi non tollera la relazione con gli altri. Oggi sopportati solo se “decaffeinati”: come si consumano caffè senza caffeina, vino o birra senza alcol, biscotti senza zucchero, pasta senza glutine, latte senza lattosio, maiale senza grasso, anche uno sguardo, una parola o un contatto di troppo vengono subito scambiati, e accusati, di molestia sessuale. 
Molto meglio nascondere la propria identità, e le proprie perversioni, stando comodamente seduti al computer. Nella Rete la coscienza si scarica dentro a un computer elevando a realtà le paranoie di cosa ci sia dietro lo schermo nello stesso tempo in cui lo schermo rende immateriale la realtà. Ma il cosa c’è, il che cosa si mette dietro lo schermo, è il nostro fantasma fondamentale impossibile da accettare come si dovrebbe per tenerlo alla giusta distanza. Anche la tecnologia in definitiva non è affatto capace di regolare i legami socio-simbolici che invece “… già-sempre sovradeterminano il modo in cui il cyberspazio influisce su di noi” (Žižek, 2009b, pag. 369).
Nella logica lacaniana del soggetto interpassivo, che si afferma proprio oggi che tanto si parla di interattività del web 2.0, è paradossalmente solo quando un individuo indossa una maschera, o il travestimento in chat, che è capace di mostrare il suo vero volto. Perché si avvicina al “carattere essenziale dell’apparenza stessa” (Žižek, 2009b, pag. 191), che è il segreto di cui va in cerca chi è in analisi. Ancora una volta, le apparenze contano; la perversione non è una qualche deviazione dal comportamento sessuale lecito – tutti abbiamo un lato oscuro – ma il vantare un accesso diretto all’Ordine Simbolico. Se invece si riescono a integrare le fantasie oscene nella sfera pubblica della Legge simbolica del grande Altro, il personaggio adottato nell’interazione sociale è più autentico di quanto uno sente in sé. 
Un po’ come la questione marxiana della falsa coscienza, rovesciata ulteriormente. Solo una lettura sbagliata di Lacan conduce infatti a identificare la principessa Diana come “figura dell’insorgenza” (Žižek, 2009a, pag. 435). Provare un’emozione, come ripetono ossessivamente i “giovani adulti” e gli “adulti giovani” di oggi, quando ascoltano una canzone di Michael Jackson o piangono ai funerali di Lady D., non vuol dire spogliarsi della propria identità, del proprio ruolo sociale, del proprio posto nell’Ordine Simbolico ed essere semplicemente in sintonia con sé stessi, come pretendono certe mistificazioni di stampo New Age. 
Invece di indulgere in simili atteggiamenti adolescenziali, perché non avere il coraggio di avvicinarci al luogo della nostra verità, non una profonda Verità con la V maiuscola, ma l’insopportabile verità con cui imparare a convivere? Compiendo finalmente una vera scelta, per Žižek fuori dal campo della morale, come quella dell’uomo capace di rinunciare alla propria donna, conquistandone per sempre l’amore, pur se la desidera molto, anzi proprio perché la desidera così tanto, non per rispettarla ma per una Causa superiore?  
E possibilmente buttando via la coperta di Linus (il guanto bianco di Michael Jackson? il “santino” di Lady D?). Perché il “grande Altro”, il terzo che sta al di fuori di noi e ci guarda, non garantisce nulla rispetto al nostro desiderio. Come aveva già capito Italo Svevo ai primi del Novecento nella Coscienza di Zeno con la magistrale lettera di congedo dal suo psicanalista. 
Ma allora, “per un dare un senso a questa storia se un senso non ce l’ha” (Vasco Rossi), non basta riconoscere che le nostre azioni e le nostre parole sono governate dalla Legge dell’Ordine Simbolico che ha molteplici supporti fantasmatici piazzati da sempre in Dio, da Freud nell’inconscio e dal materialismo dialettico nella Storia. Ora che “Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento troppo bene” (Woody Allen), bisogna rimboccarsi le maniche e ripensare il tutto, proprio come ha fatto Žižek. 
Lezione numero uno. Smettiamola di accettare acriticamente le democrazie liberali: ciò significa non conoscerne il limite fondamentale consistente nel farci credere di desiderare veramente quello che invece ci viene imposto, e che i totalitarismi imponevano senza ipocrisie, lasciando spazio alla libertà di coscienza.
In altre parole, non basta che tu, cittadino, sia un ricco, bello, magro e felice consumatore, ma devi anche volerlo essere. Se non lo fai sei out, altro che libertà.
Questo inganno è smascherato fin dalle prime pagine di In difesa delle cause perse nel confronto che l’autore fa tra Le vite degli altri e Goodbye Lenin, i due più famosi film sulla caduta del Muro di Berlino. A dispetto del loro obiettivo “alto”, sono incapaci di sfuggire all’eterno cliché hollywoodiano della “costruzione della coppia” (e la morte della donna nel primo non va fraintesa, perché qui la coppia si rivelerà essere quella dello spiato e della spia cui viene dedicato il libro nell’ultima scena).
Mentre nel secondo, voler nascondere a tutti i costi alla madre nostalgica la vittoria della democrazia nell’ex Ddr rappresenta il riconoscimento del fallimento del comunismo in contrapposizione alla libertà, sullo sfondo dell’imperativo etico/sentimentale di proteggere le illusioni delle persone che si amano. Ma la resistenza del popolo all’ideologia ufficiale, avverte Žižek, fu al contrario indizio del suo successo, perché la dittatura era nata proprio per mettere in pratica gli ideali per i quali lottarono poi i dissidenti, la giustizia, la libertà, la pace ecc. ecc.
Lezione numero due. Non esistono “macchie indelebili nel corso della storia” (Antonio Gnoli, 2009), non Robespierre con il suo terrore come imperativo etico, né l’adesione di Heidegger al nazismo, o il Mao della rivoluzione culturale e nemmeno lo Stalin che pur di realizzare il socialismo in un solo paese puniva con la morte i suoi traditori peraltro immaginari (e proprio per la loro innocenza, secondo il dittatore, ancora più meritevoli di essere puniti). Questa concezione della storia è opera del pensiero debole frutto del relativismo. Occorre una scarto interpretativo e ideale allo scopo di rintracciare la vera autonomia del soggetto nelle sue vicende esistenziali, per decifrare le quali è necessario stabilire i nessi tra ordine Simbolico, Reale e Immaginario.
Le “cause perse” della dialettica materialista non sono dei fallimenti. La vera causa persa è il capitalismo con la sua ambiguità intrinseca. Sta a noi non subirne più le retoriche. E leggere Žižek è un grande aiuto. Non solo per chi crede oggi che attuare il liberalismo sia diventato compito della sinistra radicale, assumendosi i rischi di una presa di posizione creativa e rigorosa. E perché a credere che il Mercato abbia capacità autoregolatrici, e anche dei rapporti umani, si incappa come minimo in crisi economiche di dimensioni globali non previste da nessuno dei suoi protagonisti. Ma perché la fiducia incondizionata nella naturalizzazione del capitalismo come forma della migliore società possibile “nega gli antagonismi al suo interno” (nel campo dell’ecologia, delle nuove emarginazioni, dell’etica delle tecnoscienze e in quello della proprietà privata in relazione alla proprietà intellettuale) “ che sono sufficientemente forti da prevenirne una riproduzione infinita” (Žižek, 2009a, pag. 522).
Lezione numero tre. A Žižek non interessa affatto riabilitare il comunismo, ma proporre i Materiali per la rivoluzione globale del sottotitolo, la cui profondità teorica rappresenta piuttosto il percorso intellettuale dell’unico vero pensatore realmente controcorrente – i suoi paradossi non sono mai soltanto tali e accetta la sfida di fallire /meglio/ anche lui – in una contemporaneità devastata dal relativismo cognitivo e morale dove “il populismo buono (a volte) in pratica ma non abbastanza buono in teoria” (Žižek, 2009a, pag. 329) sostiene la volontà di potere di personaggi asserviti a logiche del tutto estranee al bene comune. Una profondità teorica che è anche un modo per far piazza pulita di certe imbecillità tautologiche, l’espressione è di Žižek, molto diffuse del tipo: la grandezza di un uomo risiede nella sua ricchezza interiore. Se il “grande Altro” lacaniano, il significante della Legge che governa le nostre azioni, non esiste più, è necessario portare il peso della continuazione della Storia con altri mezzi. Ma forse si dovrebbe far presente a Žižek che il cittadino italiano medio, come ha osservato Michele Serra su un’“Amaca” di Repubblica dello scorso settembre, o anche l’uomo del villaggio globale, più che rifiutare il comunismo, oggi le tenta tutte per sfuggire al capitalismo, ovvero impegnarsi e faticare. Anche se lo abbiamo già sentito rispondere con l’ultima e più importante lezione. Il nuovo “autoritarismo permissivo” impone allo stesso tempo godere e dovere. Ci sfida sul terreno del dover essere senza proibire ma imponendo di godere. Solo che adesso godiamo in pubblico – in tv, nei reality, persino sui palcoscenici della politica invasi dalla chiacchiera e dalla battuta da bar – e soffriamo in privato, perché a certe cose ci crediamo ancora. 
Che il SuperIo continui a fare brutti scherzi?

 


 

:: letture ::

— Beckett S., Compagnia – Worstward Ho, Jaca Book, Milano, 1986.

— Dick P.K., Ubik, Fanucci Editore, Roma, 1995.

— Gnoli A.,  Il pensiero fortissimo di Slavoj Žižek, Repubblica, 4 luglio 2009.

— Žižek S. (a), In difesa delle cause perse, Ponte alle Grazie, Milano, 2009. 

— Žižek S.(b), Lacrimae rerum, Saggi sul cinema e il cyberspazio, Libri Scheiwiller, Milano, 2009.