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Necroelogio della stupidità
di 
Desdemone Vitale

b05.jpgChissà se c’entra con l’eclisse della ragione questo periodo di intellettuale spasmo collettivo che ci tocca vivere... Somiglia ad un   trapasso duraturo, che baratta l’istante replicando, morendo a rate, invece che d’un pezzo. Dove la stupidità s’insinua pigramente, indolente mette le radici, così, per niente, senza raccapriccio, perché è così che fa. E trova disponibile il ventre molle della società, che feconda senza troppa voglia, e i rapidi frutti disperde in un crogiolo di diversiforme niente. S’apre inspiegabilmente all’infinito delle possibilità. S’inaugura e si congeda, così, tutto da sé. Nello sbadiglio d’impegno, la società non le resiste, muore, a gara con lei, in uno sfacelo composto. Sapròfita, si deposita in detriti nell’immaginario, diventa melma, da cui, a forza, si libera l’intelligenza che, sgocciolando, se ne va.

Noi ci siamo abituati a credere in due regni, al regno dei fini e della volontà e al regno dei casi. In questo ultimo l’accadere privo di senso, le cose vanno, stanno e accadono senza che nessuno possa dire per quale motivo, a che scopo. Temiamo questo possente regno della grande stupidità cosmica perché il più delle volte veniamo a conoscerlo per il fatto che nell’altro mondo, in quello dei fini e delle intenzioni, gli casca dentro come una tegola dal tetto, colpendoci a morte, una qualche bella finalità. (Nietzsche, 1964)

Ostinata rimane solo la stupidità, non solo per questioni di ragioneria. S’intigna, per circostanza: … uno è stupido nello stesso modo in cui un altro ha i capelli rossi. ( Cipolla, p.48).
Le parole sono tane e nascondigli: stupido è un iponimo, ma, lungi dall’essere un sottomultiplo, per così dire, di un iperonimo, è un’oceanica folla di pochi. Una densa colata di bitume. Liberi siamo liberi. Tanto abbiamo fatto per liberarci di metafisiche, di ideologie, di laboratoriali teorie, di appoggi, tutto per diventare  quel che siamo oggi: imbecilli. Etimo certo: “in-baculus”, colui che si appoggia al bastone. Protesi della mente, del corpo e persino della fantasia: strizzata, resa cieca come una talpa, però occhialuta, dopo l’indotta cecità. Quanto ci costa questa civiltà che teme, lasciando il bastone, di scoprirsi zoppa, che, socchiudendo gli occhi, attende il delicato tracollo…
Una volta occorreva un sapere per essere in grado di realizzare i  proponimenti, oggi si fa come la mosca – emblema della stupidità – che sbatte più volte contro il vetro, finché non imbrocca l’uscita.
Pare che  gli “stupìti”, o stupidi, che dir si voglia – pure troppo evidente l’etimo per stare a spiegarlo – siano oggi in numero maggiore, rispetto agli idioti, per esempio. C’è una distinzione – cavillosa sì – da fare tra idioti e stupidi, per capire se questi, poi, siano meglio di quelli. L’idiozia è un comportamento che singolarizza rispetto ai comportamenti medi – L’idiota di Dostoevskij – ma condivide con la stupidità l’analgesica costipazione del dubbio. L’idiota intensifica un suo tratto fino al parossismo, contro la medietà, è colui che va fino in fondo, arrivando all’estremo (lo è, in tal senso, un rapinatore, perché  fuori delle regole, o un santo, come San Francesco, per dirne uno). L’idiota è chi si tira fuori, privato del contingente, mentre, esattamente al contrario, la testa dello stupido è allagata dal presente. Lo stupido è folgorato, è il paradigma dello stordimento sinestetico: colui che è colpito da repentino stupore e ha, perciò, una percezione disorganizzata del presente. Stupore che si cronicizza e, insieme, si consuma nell'istante, con la propensione, non già a fermarlo, ma ad aiutarlo a svanire. L’idiosincratico idiota si trae fuori. È lo “straniero”, l’esiliato, dotato di un’intelligenza primaria che deforma i processi esistenziali… la salvezza  gli sarebbe inutile. 
Proprio a rimestare nel secchio degli avanzi, idiozia e stupidità  possono apparire come  istigazione all’intelligenza… ma proprio…
Lo  stupido non è attrezzato a reggere lo schianto: non v’è la possibilità di ripiegare sulla domanda, di leggere nelle cose, perché, nel flusso continuo, egli non può fissare lo sguardo, prerogativa dell’intelligenza (intelligere è leggere dentro le cose) che, tra lo scorrere e il putrefare, si protesizza, si rimbecillisce, preferisce spesso   l’entimema al sillogismo, è assertiva senza essere riflessiva, è ragionevole senza essere razionale, logica, senza ipotesi e tesi. Eppure l’idiota ci mette il fegato, il cuore… e altre frattaglie, ma resta  uno spaesato. Lo stupido, l’idiota, l’imbecille, dunque, nel loro essere morbo, ci salvano perché il loro esserci ci fa sentire migliori. E ci fa avvertire la nostra posizione come indecidibile. Sono la ragione di un’intelligenza eccentrica, ché ha perduto il suo centro e, sperabilmente, il sonno. Sono: Come tanti sonagli sul berretto di un Dio buffone e deludente, […] sanno farsi scuotere solo dalla supposta ostilità del suo arbitrio (Vittorio Strada, 1986). L’intelligenza rischia, nel loro farsi numero, di trasformarsi, nell’immaginario collettivo, in una tara ereditaria rimediabile.

Non c’è niente di più triste che, per esempio, essere ricchi, di buona famiglia, di bell’aspetto, abbastanza istruiti e intelligenti, persino buoni, e al tempo stesso non avere nessun talento, nessuna peculiarità, neanche una stranezza né un’idea originale, insomma essere proprio ‘come tutti’. La ricchezza c’è […] ma non si è mai distinta in nulla; l’apparenza è piacevole, ma poco espressiva; l’educazione passabile, ma non si sa come metterla a frutto; l’intelligenza c’è, ma senza idee proprie ; il cuore c’è ma senza magnanimità e così via per tutti gli altri aspetti […]. Per l’uomo ‘comune’ limitato, non c’è niente di più facile che immaginare se stesso come una persona poco comune e originale, compiacendosene senza alcun tentennamento. […] La sfrontataggine dell’ingenuità, in alcuni casi, arriva a livelli stupefacenti.[…]. Questa sfrontataggine è l’incrollabile fiducia dell’uomo stupido […] privo di dubbi […], talmente privo di dubbi che… per lui le domande non esistono . L’uomo comune intelligente, anche se qualche volta di sfuggita ha immaginato di essere uomo geniale e originalissimo[…], conserva nel suo cuore il tarlo del dubbio che lo conduce alla più totale disperazione […]. Tuttavia, prima di arrendersi e rassegnarsi, queste persone a volte ne combinano delle belle. (Dostoevskij, 1990, pp. 537-538)

Tra la baldoria e il silenzio, la stupidità e l’idiozia, s’annoda, dunque, la fune  penzolante da cui s’impiccia spesso l’intelligenza – e le sue protesi – incatenata alla realtà, ma come un debitore a un cambiale.
È qui, inspiegabile, tra le cose più inspiegabili, che s’insinua una speranza, alla Gabriel Marcel, uno sperare senza motivo: non quello della madre che non si rassegna alla perdita di un figlio e dice: “io non sopporto l’idea che tu non ci sia, dunque rimane possibile che tu ritorni”, ma un “tu ritornerai” di pura gratuità che consuma il suo momento, non attende, che cattura  anche il più riottoso oscitante.
Sarà l’ostinazione a vivere – non si sa se frutto della stupidità o dell’intelligenza – che ci recupera perdendoci. Che fa gorgogliare dall’affogo nell’immaginario collettivo il genio dell’immaginazione creativa, dell’intelligenza, sempre morente perché sempre resuscitante, che nell’ellisse  intersecante stupidi, idioti e imbecilli crea una traiettoria nuova, una inattesa possibilità. Nella resistenza a ogni esteriorità (l’idiota) o nella porosità fino alla con-fusione (lo stupido), traballa nell’immaginario un Io, tenuto insieme con lo sputo, titolare di un’ intelligenza – sia pure protesizzata – ancora àncora di salvezza. Un io che è un impero sconfinato e fragile: 

… un impero i cui confini sono irraggiungibili, è un impero che non è possibile dominare centralmente, anzi che non è possibile nemmeno definire. Se non esistono punti periferici, non esiste neppure un  punto centrale, né  comunicazione tra essi […] .Quando parliamo dell’Io parliamo del potere che un io prende sugli altri io possibili….che vive ogni istante una morte distanziale, che opera una distanza, raddoppiando lo sguardo su se stessi  e sul mondo , liberando le singolarità trattenute, dando vita trasformata agli istanti…una distanza che non è distacco, ma sguardo narrante; come un accompagnarsi. Essendo già morti. … L’io è il delirio del suo nascondimento. (Cantalupo, Carotenuto, Masullo, Piro, 1997, pp. 12-13). 

L’intelligenza lo scova. Allora il problema non è tanto l’identità indurita (idiota) o liquida (stupida), ma il lavoro quotidiano dell’intelligenza stessa che si esercita non sulla … paura che il mio fragile equilibrio vada in frantumi, che il mio io si disfi, ma invece il terrore che il mio io sia definitivamente compiuto, sia per sempre senza diversità (ibidem, p. 37). Esiste un sentimento dell’intelligenza, mentre non ne esiste uno della stupidità o dell’idiozia. L’unica che si dolga del nostro stato è l’intelligenza che, nel tentativo di liberarsi dalla colla della stupidità, di non darle “spazio ulteriore per l’esercizio dei suoi talenti”, direbbe Cipolla, impara col tempo a fare gli errori giusti.

Insomma, stiamo morendo, ma… niente di serio.

 


 

:: letture ::

— Cantalupo P., Carotenuto A., Masullo A., Piro S., L’Io mancante, Loggia de’ Lanzi, Firenze, 1997.

— Cipolla C., Allegro. Ma non troppo,  il Mulino, Bologna ,1998.

— Dostoevskij F., Idiot, 1869, trad. it. L’idiota, Garzanti, Milano,1990.

— Nietzsche F., Morgenröte, 1881, trad. it. Aurora - Frammenti postumi 1879-1881, Adelphi, Milano, 1964.

— Strada V., Le veglie della ragione, Einaudi, Torino, 1986.