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    I maghi del marketing,
    il brand Harry Potter e i cloni del successo
    di Roberto Paura

    mktQuest’ultimo termine viene usato dalla Gunelius per spiegare una delle ragioni che ha permesso al brand Harry Potter di diventare un fenomeno senza danneggiare tuttavia la qualità del prodotto stesso, rappresentato dai romanzi e dai film ad esso collegati. Come si è detto, il merchandising è tutto ciò che ruota intorno a un brand in termini di prodotti accessori che ne condividono la marca con quello principale. In una delle tabelle più impressionanti del saggio, l’autrice riassume i prodotti legati al merchandising di Harry Potter: action figure, peluche, set da gioco, costruzioni Lego, bacchette magiche, puzzle, carte da gioco e scambiabili, videogiochi, t-shirt, portachiavi, penne, matite e tutti i possibili articoli di cancelleria immaginabili, poster, tazze e piatti, orologi a muro, dolciumi a tema, adesivi, articoli per le feste, e persino articoli per il bagno e biancheria intima. Il fatturato complessivo di tutti questi prodotti è ciò che costituisce la parte dell’iceberg Harry Potter che sta sotto il pelo dell’acqua, la cui punta è invece rappresentata dai film e dai romanzi. Il brand Harry Potter ha oggi un valore stimato intorno ai 4 miliardi di dollari (pari al prodotto interno lordo del Ruanda). Eppure, la Rowling avrebbe avuto il merito – secondo l’autrice di questo studio – di non incorrere nell’errore tipico di un brand come Disney, che è appunto quello dell’overmerchandising. La scelta di J. K. Rowling di non concedere a McDonald’s i diritti milionari per lo sfruttamento di Harry Potter attraverso la vendita di gadget negli Happy Meal sarebbe esemplificativa di un atteggiamento di protezione verso la propria creatura, evitandone l’eccessiva esposizione commerciale che avrebbe come effetto il rigetto e la disaffezione da parte dei fan più maturi. Viceversa, scrive la Gunelius, Disney è il brand più soggetto a questo fenomeno: ogni film viene sfruttato attraverso i canali di merchandising più disparati fino allo sfinimento, allorquando la disaffezione diventa tale che è necessario lanciare un nuovo film per rimettere in moto con successo la macchina commerciale. Aver evitato l’overmerchandising avrebbe permesso alla Rowling di fare di Harry Potter un successo duraturo negli anni.
    Quello che Susan Gunelius non fa nel suo saggio è differenziare le strategie di marketing a seconda dei fini. Infatti, c’è una differenza sostanziale tra le strategie volte a vendere i romanzi (e i film) e quelle volte a incrementare esponenzialmente i guadagni derivati attraverso il merchandising. Nel primo caso gli interessi del brand team e quelli dell’autore dell’opera coincidono: entrambi mirano a incrementare le vendite così che aumentino di conseguenza i guadagni, che sono per l’autore dell’opera il riconoscimento tangibile dell’apprezzamento del pubblico e il compenso per la fatica creativa. Nel secondo caso, le strategie di marketing sono tutte a vantaggio del brand team che vende il prodotto slegandolo completamente dal medium originario e svuotandolo del suo significato. Per un autore, il merchandising è la massificazione della propria opera, la sua trasformazione in un prodotto dell’industria culturale.

     
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