• sommario no.20
  • navigator bussole
  • space
  • orientamenti
  • space
  • bussole
  • space
  • mappe
  • space
  • letture
  • cpace
  • ascolti
  • space
  • visioni
  •  
    marilynmarilyn

    È un’altra Marilyn questa, non è né quella patinata dei rotocalchi degli anni cinquanta, né quella rifrangente dell’interpretazione artistica warholiana. È una Marilyn vista dalle spalle, che quasi cammina a piedi nudi nel fango, bambina, inconsapevole, decisamente umana. E questo al di là delle semplici, buoniste sensazioni di una massa di lacrime melense. Al di là delle ricostruzioni d’effetto che stimolano il magone, i buoni sentimenti. No, non è niente che ha a che fare con quell’immagine a metà strada tra il paternalismo, la filantropia e il giudizio dal sapore vagamente parrocchiale.
    Ma Pasolini ha visto veramente Marilyn, non l’ha semplicemente guardata attraverso la lente focale di uno spettro di colori. Marilyn, allora, non sarebbe mai stata l’icona di un’era pop, forse meglio si sarebbe adattata, invece, ad un più tiepido e prudente sguardo neorealista.
    Non che Marilyn non sia quella di Warhol, ma certamente l’incoscienza della sorellina minore stride con una trionfale discesa della scalinata in abito rosa, con lo strizzare d’un occhio ad un consesso di operai sudati in un cantiere. Forse in Italia sarebbe rimasta Norma Jean, sicuramente per Pasolini è stato così. Quasi come se Anna Magnani in Mamma Roma (1962), avesse potuto adottare una figlia, metterla a fianco di Ettore, e farle vedere la crudeltà dei giochi del fratello e degli amici. E sì che quello stesso Ettore era una vittima.
    Ma è una visione differente delle cose, una visione che si fa forte di una tradizione cinematografica diversa, di un sistema produttivo ed economico che non è lo stesso, questo è certo, tuttavia ci sono delle cose, che per quanto le si possa girare e rigirare, per quanto si cerchi di vederle da una parte oppure dall’altra, rimangono sempre le stesse. E una di queste cose è senza dubbio la bellezza. Perché la bellezza è sempre la stessa, che ci sia un oceano di mezzo, che la leggano i colori di un artista allucinato, che la dicano le parole di un poeta.
    Si provi ad immaginare cosa avrebbero potuto dire, tra loro, Pasolini e Warhol di Marilyn, magari bevendo un tè seduti allo stesso tavolo. Forse, avrebbero parlato di niente.
    Pasolini presenta Marilyn ne La Rabbia (Pasolini, Guareschi 1963) ad un anno dalla morte dell’attrice. Tra le odi recitate nel documentario dalle voci di Renato Guttuso e di Giorgio Bassani, c’è quella dedicata a Marilyn. E l’accompagnano immagini che non sono certo solo quelle dello sfarzo.

    marilynmarilyn
       [1] [2] (3) [4]
space <   sfoglia    |    sommario    |    orientamenti    |    bussole    |    mappe    |    letture    |    ascolti    |    visioni    |    sfoglia   >