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    marilyn
    C’

    è la Marilyn classica, quella caleidoscopica e fatta di decine di colori come ce la riporta la famosissima rappresentazione di Andy Warhol. E quella è la Marilyn in cui si rispecchia un’epoca e, soprattutto, un popolo. Giochi pirotecnici nelle frastagliate fessure di una nazione grandissima. I colori di Marilyn sono quelli di una figura che si può vedere da una parte o dall’altra, e per questo non se ne modifica il risultato. È morbida quella Marilyn, i colori si impongono sulla sua pelle come un correttore che ne smussa gli angoli, che ne fossilizza l’espressione in una visione caleidoscopica e, apparentemente, nient’altro. Certo, fino ad oggi il mondo ha sempre visto Marilyn con gli occhi di Andy Warhol, l’ha scomposta in piccole cellette colorate, riprodotte fedelmente eppure differenti, decine di immagini dello stesso volto, la stessa espressione, lo stesso, meraviglioso neo. Ecco Marilyn dunque, di tanti colori quanti sono stati i suoi amori. Porpora come la passione, la gelosia ed il tormento continuo con il battitore Joe Di Maggio; giallo-olivastra come il silenzioso sibilo con cui cantava “happy birthday, mister president” al più memorabile presidente Usa di tutti i tempi; rosa sbiadito, quasi grigia, come quel sentimento di provincia che accompagnò il suo mediocre matrimonio con l’inadeguato Arthur Miller; e mascherata di un pesante verde che nasconde, come quella notte in albergo in cui fu vista, o forse solamente immaginata, al fianco di Elvis Presley.
    Marilyn Monroe, la figlia dell’America più pura, con i suoi amori, le sue storie, le immagini che si danno ad un rimbalzo continuo. Le prime pagine dei giornali, le riviste affamate di notizie. La provincia, la città. Marilyn fatta per essere non soltanto nel cinema, fatta per essere il cinema. Quale figura sarebbe più adeguata di quella di Marilyn per descrivere gli anni in cui si fece mito? Nessuna, di certo. Nemmeno quarant’anni, ma il riassunto della recente storia di una nazione. Nacque che di lì a poco sarebbe arrivata la Grande Depressione, era il 1926, avrebbe vissuto fino al 1962. Tra queste due date il disastro e la ripresa economica, un gigantesco conflitto mondiale e poi la tremenda Guerra Fredda. Abbastanza per parlare di un periodo quantomeno caldo. Gli anni in cui all’estero gli Usa si impongono come una nazione tra tutte, come la nazione, anni in cui al loro interno gli Usa devono trovare sempre nuovi miti e nuove storie, fare dell’american way of life un marchio, uno standard che possa garantire successo, anche alla più misera delle bambine nate in un ospedale per la povera gente dei sobborghi. Le grandi storie dei grandi personaggi: e Marilyn è come Elvis, è come era stato Al Capone, come sarà Muhammad Ali. Sono questi, anche questi, gli Usa del self made.

    marilyn
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