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EUGENETICA DEL DIGITALE
di 
Iolanda Perfetto

eugenetica.jpg Otto anni fa una nota rivista maschile, GQ (aprile 2001), presentava in copertina una donna dalle fattezze perfette e un corpo da capogiro, innalzandolo a ideale femminile della società attuale. In realtà quel corpo così curato nei minimi dettagli non esisteva: non era altro che un assemblaggio di parti dei corpi delle donne più belle del mondo. Questo essere semidivino è stato realizzato grazie all’uso del computer, il medium più organico alla dimensione della postmodernità. Oramai i grandi mezzi di comunicazione di massa, che definiscono sempre più completamente il paesaggio della nostra vita quotidiana, sono stracolmi di figure che hanno come Dna una sequenza di bit, dalle modelle digitali alle presentatrici televisive. Il corpo digitale sta soppiantando quello naturale, ed è sempre più difficile distinguere l’immagine dalla realtà. La modificazione corporea, dal tatuaggio alla chirurgia plastica, è da tempo una tematica centrale per le discipline che si interessano alle pratiche di costruzione dell'identità in una società che propone e impone canoni estetici che rasentano l’impossibile ma che vengono promossi come fondamentali per ognuno di noi. La tecnologia ha cambiato radicalmente la vita dell’uomo moderno, non  solo mutando  il modo di comunicare e di lavorare ma anche il modo di vedere se stesso e i propri miti. La nostra, osservava già Martin Heidegger, è l’epoca delle immagini del mondo (Heidegger, 1976), e in quest’epoca non vi è più nulla che non sia immagine, e si fa molta fatica a distinguere la verità dalla finzione perché entrambe sono immagini, entrambe sono vere finzioni. Nell’epoca delle immagini del mondo non è rimasto nessuno ad immaginare, poiché tutto quanto appare e tutto quanto è a portata d’occhio. I dispositivi di rimediazione (Bolter, Grusin, 2002) contemporanei applicati alle tecnologie della comunicazione fanno sì che tutto sembri accuratamente studiato per disorientare e far smarrire ogni capacità di discernere tra il vero e il falso – per quanto questa distinzione abbia mai avuto senso. La contemporaneità si presenta oggi come un’epoca in cui il mondo si costituisce per immagini tanto da rendere sempre più difficile distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginario.
Al culmine di questo processo starebbe, secondo questa interpretazione, la totale dissoluzione  del mondo reale in quella che viene generalmente definita come realtà virtuale. Nel nostro tempo l’interfaccia incontrastata nel rapporto con il reale è il computer, che  ha raggiunto ormai potenzialità grafiche tali da simulare la realtà ai più alti livelli. Sempre più spesso vengono prodotti e proiettati nelle sale cinematografiche film recitati da attori virtuali, personaggi disegnati al computer ma talmente veri da essere scambiati per persone in carne ed ossa. Ombre come la bellezza digitale dei Virtual Idols rischiano di indurre a rifiutare nel modo più assoluto i segni reali e caldi del corpo umano rincorrendo una perfezione inesistente e quindi impossibile. Ci stiamo innamorando di fantasmi, di pezzi di plastica e di numeri…
Potremmo dire che il sentiero che l’umanità ha percorso per creare artificialmente la vita è iniziato con Pigmalione, il personaggio di cui narra Ovidio (pagg. 243-297), scultore devoto alla sua arte a tal punto da rinunciare al matrimonio perché secondo lui nessuna donna poteva eguagliare in bellezza le forme femminili che egli stesso era capace di modellare. L’amore di Pigmalione per la sua statua rimanda al romanzo Aidoru di William Gibson, dove un uomo in carne ed ossa sposa una donna virtuale, quindi in un certo senso un nessuno, un puro simulacro, la versione postmoderna della statua di Pigmalione. È l’aidoru, l’idolo, che la tecnologia riesce a far emergere dalle pieghe del vuoto. Fisica e informatica ci hanno insegnato che questo può essere fatto, e che prima o poi sarà fatto. L’aidoru del romanzo di Gibson è un costrutto di simulazione, un insieme di componenti software, la creazione di progettisti informatici, ma al tempo stesso un’architettura di desideri che esercita in modo stupendo il potere della seduzione. 
Il mondo delle meraviglie virtuali che Gibson ci svela differisce solo per pochissimi particolari da quello in cui noi già viviamo: è come se fosse solo di qualche anno nel futuro, anzi, nel futuro dell’anno in cui lo scrisse. La favola di Aidoru ha le sue radici storiche profonde nel lontano 1956, quando un manipolo di scienziati delineò un programma di ricerca divenuto celebre con il nome di A.I. (Intelligenza Artificiale). Come avevano detto: “Dateci una descrizione di un qualsiasi comportamento umano e saremo capaci di simularlo con una macchina” (Grazia).
Il virtuale non è una mera illusione; non costituisce il contrario di ciò che è reale, è piuttosto l’opposto di ciò che è attuale. È quel modo della realtà che è colto dalla frase “già e non ancora”. Come il seme (già) ha in sé la capacità dell’albero (non ancora). 
Oggetti di fama e di culto propri della nostra società sono corpi statuari, muscolosi per l’uomo, formosi per la donna. Cartelloni pubblicitari, spot televisivi, giornali, riviste, tutte raffiguranti corpi. Corpi da capogiro, perfetti tanto da non sembrare veri. Tanto da generare un interrogativo cruciale: dietro questa grande mostra del corpo cosa si cela di reale e cosa è solo finzione?
Il corpo è, esiste al di là dell’immagine che noi percepiamo di esso. In fondo ne è un esempio il dramma di Narciso: l’impossibilità del corpo di afferrare la propria immagine. Con l’avvento delle tecnologie e della virtualità che hanno esteso al massimo le nostre facoltà percettive, il corpo umano inizia a sentirsi inadeguato. È l’era della ricerca ossessiva della perfezione, di pozioni che fungono da elisir di lunga vita, pozioni che ti fanno bella. Riviste, spettacoli televisivi si arricchiscono giornalmente su tali illusioni. In sintesi, oggi il corpo è in continuo divenire. Chirurgia plastica, tatuaggi, piercing, prolungamenti per capelli: oggi il corpo può essere cambiato. Il mito del corpo reale è stato soppiantato dal mito del corpo virtuale. (Cappucci, 1994).
Donne  sintetiche/sintesi della donna, le digital beauties rischiano di sostituirsi alle realtà delle donne contemporanee.
Negli anni Settanta del secolo scorso Jean Baudrillard scriveva che il proliferare dei simulacri ha sancito in maniera definitiva il passaggio dall'era realistica, contrassegnata da quella che ha definito “l'ossessione per la riproduzione”, ad un'era iper-realistica, nella quale la simulazione e i modelli sono diventati pervasivi (1976). Le bellezze digitali potrebbero, quindi, incarnare l'ideale di femminilità proprio dell'era iper–realistica. Ma non si può dimenticare che la bellezza tout-court e la bellezza digitale convivono in un rapporto di causa-effetto. L'estetica digitale scaturisce da un'idea di bellezza precedente. La maggior parte delle dive virtuali non sono che traduzioni in forma elettronica di un'estetica mediatica e mediatizzata.  Oggi le attrici e le modelle sono usate più per proporre uno stile – dunque come sottolineatura di una estetica – che come strumento per mostrare capi di abbigliamento. Sarà possibile tra poco avere la possibilità  di giocare con la donna dei propri sogni. Quindi ciò che veramente è cambiato grazie al virtuale è  l’immagine che ha l’uomo dei propri miti in quanto il corpo che insegue è inesistente.
Secondo Julius Wiedermann :

Da sempre gli esseri umani si servono della tecnologia per sedurre, per creare o anche solo simulare la felicità. [...] la storia della cultura pop è ricca di super eroi e personaggi dei cartoni animati, veicolo dei desideri o delle paure dell'immaginario collettivo. La grande differenza è che i personaggi virtuali dell'ultima generazione possono essere utilizzati in scenari filmici ed elettronici particolarmente complessi. Possono, cioè, interagire con noi. Ma restano il frutto di un processo di creazione che coinvolge creatori, produttori, artisti e designer. In un certo senso i personaggi virtuali sono più umani dell'umano. Anche perché la tecnologia, da sola, non basta, non emoziona. L'estetica richiede sempre un'assiologia (Wiedermann, 2002).

I nuovi effetti speciali sono direttamente attori bellissimi, in luoghi bellissimi, con espressioni impeccabili e voci seducenti. Eugenetica del digitale ?
Nell’attesa che la genetica approdi al perfezionamento dell’essere umano gli effetti speciali di Hollywood ci preparano allo spettacolo che avremo davanti. La diffusione capillare di internet ha portato allo sviluppo di fenomeni di ogni genere, che hanno anche molte ripercussioni sociali. Uno di questi aspetti è quello dei personaggi virtuali. Non esiste una definizione unica di idolo virtuale, ma sicuramente con questo termine ci si riferisce a un personaggio virtuale, e quindi non esistente in carne ed ossa, ma che però ha una propria vita, una biografia, video e foto che hanno dunque un’oggettività simile a quella di un essere umano. Il termine idolo virtuale è stato utilizzato per la prima volta in Giappone nel 1996 dalla Hori Production, una delle più importanti  agenzie di modelle giapponesi, per definire la prima star virtuale, Kyoko Date (DK-96), una sorta di esperimento per la nascita di un nuovo genere di personalità mass-mediatiche. Il termine giapponese è Idoru (L’Aidoru di Gibson) e definisce un personaggio che, pur non essendo in carne ed ossa, ha comunque una vita reale: è capace di provare sentimenti e di compiere azioni, come ad esempio registrare un disco. Gli idoli virtuali assorbono il mondo reale, nelle sue forme estetiche e comportamentali. Kyoko e Lara Croft, solo per riportare i due esempi più famosi, sono modellate su canoni estetici umani e hanno una dettagliata biografia che ne indica i gusti e la storia personale. La differenza rispetto alla vita reale è data però dalla dimensione del tempo: per loro passato, presente e futuro esistono, ma non scorrono: non passano e non accadono perché sono già lì (Perniola). Gli idoli non rimangono mai uguali a se stessi: non sono entità o rappresentazioni immutabili e fisse, ma il risultato di un processo infinito di sedimentazione, in cui, al ritmo delle dinamiche sociali, si sommano contributi eterogenei che finiscono per costituire un orizzonte di senso utile all’individuo per comprendere la realtà. Una volta assunto questo concetto, si riesce a comprendere che gli idoli, in qualunque forma si presentino, svolgono un ruolo irrinunciabile su cui vale la pena riflettere. Gli idoli contemporanei sono ovviamente diversi da quelli del passato: nella società dell’immagine coloro che in modo più evidente assolvono tale funzione sono coloro che hanno maggiore visibilità e perfezione, che attivano processi imitativi portati spesso anche all’estremizzazione, come nel caso di certi interventi di chirurgia estetica. Si ha nell’uomo una continua esigenza di creare miti e idoli perché si sente il bisogno di sviluppare un immaginario collettivo che ci comunichi il senso più profondo del vivere specifico nella nostra società, nel nostro mondo attuale. Attraverso l’idolo, sia nel passato ma soprattutto nel presente, si costituisce un immaginario collettivo in cui ognuno si rispecchia, per creare poi un’appartenenza ad un gruppo, come avviene nella nostra società dove per essere accettati bisogna rispecchiare determinati canoni fisici ed estetici che ci permettono di far parte del così detto gruppo di privilegiati. In effetti è come se l’identificazione con l’idolo sempre più perfetto, e la corsa frenetica ad assomigliargli in tutto e per tutto, renda l’uomo meglio inserito nella comunità, o comunque nel gruppo di appartenenza, perché lui stesso diventa un canale in cui si rispecchiano i canoni socialmente accettati e ricercati. Ma ciò che è più notevole è come l’idolo virtuale rappresenti il modello del post-moderno; e come le persone non facciano più differenza  tra immagine e  reale seguendo unicamente il motto: “Appaio dunque sono”. C’è un film che mette bene in scena i conflitti e le dinamiche che si possono generare attorno agli idoli virtuali: S1m0ne di Andrew Niccol, che narra la vicenda di un regista che, stanco dei capricci degli attori, si affida ad un potente software che gli confeziona la bellissima S1m0ne. Lo charme di S1m0ne non nasce semplicemente dalle sue doti, ma dallo sguardo altrui, dall’occhio di chi le ha donato la vita e da quelli, adoranti e indiscreti, di un popolo di ammiratori che sono insieme sacerdoti e fedeli del culto dell’immagine. Da anni ormai si parla di attori virtuali che prendono il posto di quelli reali, e il film di Niccol estremizza appunto questa idea. Il film si presta volentieri ad un’analisi sociale e ironizza la totale falsità dello star system, sulla completa manipolabilità del pubblico, avido di miti da amare, distruggere e rimpiazzare, sulla mercificazione di una società basata esclusivamente sull’apparenza. Ma il suo maggior limite (l’immaterialità) si trasforma nel suo principale punto di forza: il pubblico, proprio perché non può toccarla, la mitizza, ne fa un feticcio, un’icona della perfezione a cui tendere. Nel film si guarda al tentativo estremo dell’uomo moderno di controllare il proprio destino fino a privilegiare la virtualità alla realtà,  costruendo un ideale femminile, dolce e remissivo, che riflette l’immagine di ogni ideale di donna riportandoci all’antico mito di Pigmalione.

 


 

:: letture ::

- Baudrillard J., L’échange symbolique et la mort, 1976,  trad. it. Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli,Milano, 1979.

- Martin Heidegger, , trad. it. “...poeticamente abita l’uomo”, in Saggi e discorsi  1954, Milano, Mursia, 1976. 

- Bolter J. D., Grusin R., Remediation, 1999, trad. it. Remediation, Guerini e Associati, Milano, 2002.

- Cappucci P.L. (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna, 1994.

- Crespi F., Le rappresentazioni sociali dei giovani in Italia, Carocci, Roma, 2002.

- Gibson W., Idoru, 1996, trad. it. Aidoru, Mondadori, Milano, 1997.

- Grazia A., La ricerca in campo informatico e la nuova scienza della mente, in http://www.pol-it.org/ital/psichiatriaonline/grazia2.pdf , 1999.

- Jodelet D., Les représentations sociales, 1989, trad. it. Le rappresentazioni sociali, Liguori, Napoli, 1992.

- Kuhn T., The Structure of Scientific Revolutions, 1970,  trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1978.

- Moscovici, S. - Farr R. M., (ed.), Social Representations, 1984, trad. it.  Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989.

- Perniola M., Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino, 2004 (I edizione1994).

- Ovidio, Le Metamorfosi, Rizzoli, Milano, 1994

- Schutz A., On Phenomenology and Social Relations, 1970, trad. it. La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino, Bologna, 1974.

- Wiedermann J., Dichiarazione di Julius Wiedemann rilasciata in un'intervista a Matteo Bittanti, in Matteo Bittanti (a cura di), Bambole digitali belle e impossibili, Duel, n° 94, febbraio 2002.

 


 

:: visioni ::

- Niccol A., S1m0ne, USA, 2002, Warner Home Video 2003.

 


 

:: sitografia ::

- http://www.noemalab.org/sections/specials/tetcm/2001- 02/femminilita_virtuale/rappresentazione_digitale.html