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Il pianoforte deve suonare da sé, annota Nanof
di 
Stefano Pastor
nannetti.jpg

Ma il giudizio finale fu affidato all’arbitrio 

di un pazzo (...) ‘Di un pazzo’ ripeté ‘affinché 

la sapienza di Dio parlasse attraverso la sua 

bocca e umiliasse le superbie umane’

Jorge Luis Borges L’Uomo sulla Soglia 


L’impressione che provoca la fruizione dei lavori cinematografici, entrambi dedicati alla vicenda di Oreste Fernando Nannetti,  I Graffiti della Mente – N.O.F. 4 moro secco spinaceo di Erika e Pier Nello Manoni e L'Osservatorio Nucleare del Sig. Nanof di Paolo Rosa, è quella di un grande risalto alla profondità misteriosa che si cela nelle parti di narrazione contenute nei graffiti del reparto Ferri dell’ospedale psichiatrico di Volterra. Nannetti, nato a Roma nel 1927 e deceduto a Volterra nel 1994, fu ospitato dall’età di dieci anni in un istituto per minorati psichici. Dopo un periodo relativamente al quale non si rintracciano notizie sulla sua vita, viene accusato di oltraggio a pubblico ufficiale nel 1948. Fu prosciolto per “vizio totale di mente” e, nel 1956, trasferito all’ospedale psichiatrico di Volterra dove lasciò un enorme, fittissimo graffito murale realizzato con piccole fibbie del panciotto della divisa dei pazienti del manicomio. Realizzò in seguito graffiti su un passamano di cemento, disegni a centinaia, e scrisse cartoline mai spedite a parenti forse immaginari. Trascorse la vita, conclusa presso una casa-famiglia, senza mai ricevere una visita da parte di parenti o amici.
Entrambe le opere, diverse tra loro e appassionanti nei loro rispettivi linguaggi, quello documentaristico e quello narrativo-cinematografico, mettono in luce la forza poetica che le parole scolpite sul muro possiedono. Una poesia fatta di cortocircuiti linguistici, temporali, geografici, astrali ed esistenziali; una poesia che evoca i suoni e i ritmi di una incredibile contemporaneità. 
Preveggente, considerando che fu creata quando ancora non si immaginava fino a che punto il dilagare tecnologico e insinuante della comunicazione di massa si sarebbe spinto negli anni a venire e, in questo senso, splendida è la definizione dell’opera di Nanof (come spesso si firmava Nannetti Oreste Fernando) proposta dal film di Rosa: solidificazione del flusso di messaggi che vengono ricevuti e diffusi dal Signor Nanof attraverso il sistema telepatico
Premonitrice e ammonitrice in quanto portatrice di un pessimismo rispetto all'uomo e al suo destino, che sembra materializzarsi nella associazione proposta da Manoni (il graffito invita proprio all'interazione ri-compositiva),  dei versi struggenti -  e non esito a definire versi le parti testuali, intercambiabili e interpolabili, dei graffiti - La terra va in cancrena (/) Domenica 127 pioggia di stelle“o ancora”stella perduta (/) stella nascente
Una poesia capace di anticipare l'attuale Babele mediatica che vacuamente sovrappone e diffonde piani linguistici ed espressivi differenti e finanche incompatibili, senza che alcuna operazione di discernimento e di analisi ponga le basi di una qualche responsabilità della comunicazione, mettendo insieme – si pensi per esempio ad uno spot televisivo di parecchi anni fa – Beethoven, vita famigliare, e consumo di distillati in un frullatore letale che, irrimediabilmente corrompe i materiali eventualmente nobili che utilizza. Una poesia che è dunque quasi metafora di questo contemporaneo torrenziale magma, privo di contenuti e di valori, imposto con l'arroganza della presunzione e del potere. Linguaggio televisivo, linguaggio pubblicitario, Estetizzazione del mondo che trova simbolicamente forza nello slogan ‘L’immaginazione al potere’ (Gennaro Fucile, Se Una Notte dell’Inverno 1968 Un Viaggiatore, Quaderni d’Altri Tempi n. 14 – maggio/giugno 2008), poteri economici che controllano le masse attraverso l’estetica del consumo (coatto), invadendo spazi di libertà e di cultura con lo slogan ed il design. 
Ma posti di fronte al graffito ci troviamo al cospetto di un affastellamento grafico-letterario-contenutistico espressivo in modo così impressionante, nel suo fluire caotico e determinato, di un disordinato, mastodontico volume lessicale, capace però di arrestarsi di colpo, con gesto artistico grandioso, per lasciare apparire perle di intensa meditazione interiore ed esistenziale come nel cupo La morte deve suonare da sé
E qui vale la pena soffermarsi sul mistero di quel sito e sul suo comunicare oltre l’oggettivo espresso dal segno. Il verso succitato è suggerito da Manoni ne I Graffiti della Mente, e pare che si tratti di una ricostruzione (mirabile nella sua capacità di captare un significato evidentemente implicito) di un frammento non completo. Sul muro infatti troviamo rte deve suonare da sé e a sinistra delle lettere rte il muro è intatto, liscio; il margine sinistro della pagina (tutto il graffito è contenuto in pagine di diversa dimensione incise sul muro) non si chiude, contro il bordo superiore, immediatamente a margine di quella r, per pochi centimetri. Seguendo quella piccola via di fuga si scivola, a sinistra, verso un’altra piccola pagina che non contiene nulla, sul piano verticale, all’altezza delle lettere rte. Più in basso però appare l’inquietante immagine di un pianoforte a coda con uno sgabello vuoto. Diventa possibile ora ricostruire le lettere che si trovano appena sopra il disegno e che terminano contro il margine destro della pagina che contiene le lettere e l’immagine, e contemporaneamente sinistro della pagina di provenienza: Il pianofo. Inutile cercare nella stessa pagina il seguito che invece è contenuto nella pagina più a destra, un po’ più in alto. Il pianoforte deve suonare da sé. Straordinaria coincidenza espressiva con la ricostruzione di Manoni: il pianoforte evocato ha una grande cassa di legno, nera; e nero è lo sgabello vuoto che evoca l’assenza dell’elemento umano. Morte per negazione. Ma anche negazione di una morte dello spirito, passando ad altri frammenti: I fantasmi sono formidabili dopo la seconda apparizione (/) le ombre sono vive sotto cosmo.
Versi dunque, composti da suoni, parole, ritmo, significati impliciti o espliciti, coscienti o non-coscienti, ma anche da segni, simboli, disegni che attraversano incessantemente tutto questo assordante monologo di pietra. Segni grafici che rispecchiano il magmatico flusso delle parole: astri, personaggi, macchine tecnologiche, arcani simboli che sembrano provenire da un passato remoto, missili e molte antenne, perché la comunicazione era un bisogno urgente per questo uomo totalmente isolato.
Un uomo che consacra letteralmente la propria esistenza, durante un periodo di ben 12 anni d’internamento ad un unico enorme progetto che oggi definiremmo multimediale, che comprende parola, segno grafico e dimensione materica e che mostra una strabiliante coerenza stilistica nel suo insieme, nonostante l’enorme spazio temporale che divide l’inizio dalla fine della creazione di quest’opera. Opera maestosa che allude, in un gioco registico magistrale, ad un sapere immenso, sconfinato come avrà modo di definire il graffito stesso Adolfo Fattori nel suo Illustrare il Rumore (Quaderni d’Altri Tempi n. 6). Un sapere pari all’immaginazione fervida e visionaria, che capta - come antenna che si fa centro percepente - e rivela - come poeta che “vede” e restituisce l’indicibile - l’universo dentro un cortile.
L’idea di progetto unitario è precisamente inscritta nella forma ciclica di tutta l’opera. Una ciclicità che si afferma e si compie nel ripetere musicale, in forma di microvariazioni, una serie di elementi chiave che costituiscono l’ossatura formale dell’opera. Come nel caso della danza di accostamenti molteplici e vari di simboli grafici lungo tutto lo snodo del graffito o come nella percezione che definiremmo extraterrestre da parte di Nanof del genere umano e della sua stessa propria dimensione terrestre. Percezione distaccata e distante che si condensa nei pochi tratti somatici, generici appunto, con cui descrive sé stesso e altri personaggi, reali o immaginari: alto, moro spinaceo, bocca stretta, naso a Y reiterati ossessivamente in microvariazioni tra le quali castagno spinaceo oppure moro spinaceo castano o utilizzando cambiamenti di sequenza o ancora aggiungendo altri aggettivi come, ad esempio, secco. Tratti che si accompagnano a dati anagrafici, evocando la fredda asciuttezza di una cartella clinica, forse più volte ascoltata nella lettura di medici poco inclini a relazionarsi in modo umano con il paziente. Così come verrebbe da pensare quando ci si imbatte in relazioni come queste, drammatiche perché probabilmente captate con le orecchie terrorizzate del “malato” e rielaborate nella dimensione di “scienziato” cui Nanof affida la propria “evasione” dalla condizione che vive: Diagnosi di decesso: percosse magnetiche, somministrazione obbligatoria di anarcotici, percosse linciose interne ed esterne o ancora grafico metrico della mortalità ospedaliera: 10% per radiazioni magnetiche trasmesse, 40% per malattie trasmesse e provocate, 50% per odi o rancori personali provocati o trasmessi.
Ecco che ci si addentra nel pieno del dolore di questi internati, un dolore espresso da tutta la fitta, impenetrabile, complessa, vastissima, umana semplicità d’espressione del graffito. Qui si compie l’opera alchemica che tanti elementi simbolici rappresentati sembrano evocare: Nannetti crea un cosmo impressionantemente ricco elaborando gli esigui elementi con cui viene a contatto nella sua condizione di internato. Evoca molteplici linguaggi, da medico ad astronomico, da astronautico a tecnologico, da burocratico ad esoterico senza poter attingere a dizionari e pubblicazioni. La sua espressione è però tutt’altro che ingenua nell’impenetrabilità del segno, che impone fatica al fruitore, ponendolo in una condizione di inferiorità rispetto alla misteriosa imponenza dell’opera e determinandone una predisposizione ad un approccio dovutamente rispettoso. Nell’abilità letteraria e figurativa capace di evocare linguaggi o tecnologie per significare non già qualcosa di scientificamente rilevante, ma qualcosa che di quelle scienze parla in termini etici assumendo una posizione critica rispetto a chi le pratica (persino rispetto agli stessi medici che lo hanno in cura). Non parla forse di comunicazioni scientifiche prive di ogni elemento umano e umanizzante? Di tecnologie distruttive e attacchi bellici? Di decessi dovuti alle insanabili ferite interiori subite dall’emarginato? 
Ciò che ancora vediamo del graffito non perde la sua espressione maestosa di assoluto e di mistero. Non si lascia ridimensionare. Nanof ha probabilmente avuto per tutti quegli anni una visione d’insieme della sua opera, infatti non solo essa si può sfogliare pagina per pagina come un libro, o fruire per immagini come ad una mostra, o ancora esplorare saltando da un elemento all’altro come nell’ipertestualità ma, se conosciuta almeno in piccola parte, si può anche apprezzarne la maestosa simmetria che ne fonda la struttura. I due muri laterali, in prossimità dei confini estremi del graffito, contengono due piccole pagine, una a destra e una a sinistra. In esse sono contenuti i seguenti versi che ancora si specchiano in uno stupefacente gioco architettonico: Ghiandola feconda viva sesso maschile femminile orecchio destro e ghiandola feconda viva sesso maschile femminile orecchio sinistro. L’Astronautico ingegnere minerario sapeva guardare dalle remote distanze astrali. Le sue enormi conoscenze sono ancora in parte disponibili per rivelare, a chi sappia ascoltarle, enormi quantità di notizie che giungono dal sistema telepatico, prima che tutto si dissolva e restino soltanto le fotografie, le immagini, le fotocopie dei disegni, qualche cartolina, frammenti trascritti e un inconsolabile rimpianto.