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Tradizioni occidentali: la sindrome del day after
di
Roberto Paura

sindromeNel 1789, a pochi mesi dallo scoppio della Rivoluzione francese, si diffuse per le campagne di Francia un fenomeno che gli storici hanno poi chiamato “la Grande Paura”1. Alla velocità di un fulmine, diffusa attraverso le voci di viaggiatori e corrieri, si propagò la notizia che un esercito di sbandati e mercenari stranieri stesse diffondendo morte e distruzione per le campagne francesi, con lo scopo di vendicare la dissoluzione dell'ancien régime apportata dagli eventi successivi al 14 luglio. Tuttavia nessun villaggio fu mai dato alle fiamme, nessun contadino fu toccato e nessuna donna violentata: quella minaccia all'incolumità di massa non esisteva che nella fantasia dei paesani. Sociologicamente si può definire quel curioso fenomeno come il primo caso di psicosi di massa provocata dalla paura di un attentato alla salute collettiva perpetrato da altri esseri umani. Non è un caso se parliamo di “psicosi di massa”: la Rivoluzione fu l'evento storico che diede vita politicamente e socialmente all'età moderna e al dominio delle masse nello sviluppo storico. Anche le guerre cominciarono a diventare di massa, e così i loro effetti. Si sarebbe dovuto aspettare la Prima guerra mondiale perché le premesse delle ecatombi napoleoniche giungessero al loro massimo grado di perfezionamento, ma la Rivoluzione anticipò – come ha sostenuto Michel Vovelle2 – quasi tutti i fenomeni politici del secolo XX.
Nell'agosto del 1945 gli Stati Uniti facevano esplodere su Hiroshima e Nagasaki due bombe atomiche. L'Uomo raggiungeva l'apogeo della sua capacità distruttiva. Da allora, nessuno in nessuna parte del mondo poté dirsi al sicuro: in qualsiasi momento non solo una città o una nazione, ma il mondo intero poteva soccombere al potere incommensurabile della forza termonucleare. Ecco che iniziava una nuova Grande Paura di massa, la “sindrome del giorno dopo”, del day-after. L'undici settembre del 2001 gli attentati terroristici in America hanno rilanciato una sindrome che sembrava essere stata messa da parte dopo il crollo del Muro di Berlino e le rassicuranti elucubrazioni di Fukuyama3: una minaccia invisibile si scopriva capace di colpire chiunque e dovunque, dalla remote lande afghane ai centri del potere economico e politico mondiale. E con mezzi di distruzione di massa: non mitra e kalashnikov, ma magari armi chimiche, batteriologiche e persino nucleari (le famigerate “bombe sporche”). Mezzi attraverso i quali la morte viene seminata con rapidità ed efficienza, ad amplissimo raggio.
Ma quali sono le radici sociologiche di queste “grandi paure”, di queste sindromi che si rivelano sempre – e per fortuna – fuochi di paglia, visto che né guerre atomiche né attacchi terroristici con armi di distruzione di massa si sono mai verificati? In sintesi, se ne possono rintracciare tre: l'escalation degli armamenti, i rischi della modernità e della postmodernità, il complottismo e le teorie della cospirazione.

1. Escalation degli armamenti. Il secolo breve è il secolo della guerra totale e delle grandi catastrofi provocate dall’uomo. La capacità distruttiva delle armi inventate dalla tecnologia occidentale ha visto nel corso di poco più di un secolo un incremento vertiginoso. Ancora nel 1870 l’ultima guerra tra la Francia e la nascente Germania si era combattuta con fanteria e cavalleria tradizionale. Con la Prima guerra mondiale i due Paesi – e non solo loro – si affrontarono a suon di carri armati, aerei, armi chimiche e trincee. La Seconda guerra mondiale vide l’impiego di radar, bombe al fosforo, missili a reazione e infine – apice dell’escalation distruttiva – bombe atomiche. Da allora lo sviluppo degli armamenti non si è fermato ma ha anzi dato vita a nuove pericolose branche di ricerca, quelle riguardanti mezzi non convenzionali di distruzione. La bomba atomica, illustre primadonna di questo grande dramma, è stata presto scalzata da nuove fantascientifiche invenzioni: virus pandemici4, armi tettoniche5, “scudi spaziali” e via discorrendo. Alla base di queste stravaganti idee, alcune chiaramente immaginarie ma molte altre portate effettivamente avanti in gran segreto dai governi delle potenze mondiali, resta dominante il desiderio di spezzare il concetto della MAD, ossia della distruzione mutua assicurata (Mutual Assured Destruction) che l’introduzione dell’atomica ha creato. Per conseguire la superiorità militare sull’avversario è fondamentale inventare armamenti radicalmente nuovi che il nemico non possiede, così da evitare che una guerra giocata ad armi pari possa provocare la sconfitta di entrambi i contendenti.

2. I rischi della modernità e della postmodernità. La società postmoderna è stata definita dal sociologo Ulrich Beck come la “società del rischio”6. Questo rischio non deriva solo dallo sviluppo di nuove armi, ma anche dall’organizzazione della vita quotidiana contemporanea. La crescita economica della modernità ha infatti i suoi inevitabili costi: grandi danni ambientali provocati dall’inquinamento, catastrofi ecologiche prodotte dalle perdite di centrali nucleari, crescita dell’effetto serra e cambiamento climatico, danni per la salute individuale provocati da mezzi quotidiani usati indiscriminatamente (come i fertilizzanti), e che conducono a paure generalizzate riguardo tutti i nuovi ritrovati tecnologici, dal cellulare al microonde passando per gli ogm. Sono questi gli elementi che caratterizzano la società del rischio di cui gli individui che ne fanno parte sono pienamente consapevoli. Questa consapevolezza di un rischio costante col quale si convive viene elaborata a livello individuale e di massa attraverso il diffondersi di teorie su rischi segreti che i poteri forti tendono a nascondere: è l’emergere del complottismo. Si ha sempre paura di ciò che non si conosce, e la società del rischio oggi non conosce quasi nulla: ignora in gran parte come gli aerei si alzino in cielo, non potendo quindi controllarne la stabilità in volo; ignora la meccanica quantistica e ne teme gli azzardati esperimenti con acceleratori di particelle grandi come città7; ignora la fisica nucleare e ha orrore delle centrali atomiche e delle fughe radioattive che potrebbero avvenire in qualsiasi momento per la disattenzione di un tecnico. L’uomo della società del rischio si affida a “sistemi esperti” per la propria sopravvivenza: al pilota dell’aereo sul quale sale, al tecnico della centrale da cui riceve l’elettricità di casa, al medico che gli trapianta un organo nuovo, ai politici e ai decision-maker che prendono al suo posto decisioni strategiche, dall’imposizione di una nuova tassa alla fattibilità di un conflitto atomico. L’uomo, in ogni epoca storica, ignorava e temeva. Oggi l’uomo della società del rischio continua a ignorare e ad avere paura ma, poiché viviamo in una realtà globalizzata, la paura non è più individuale, ma di massa.

3. Paure popolari e racconti di massa. La cultura popolare, a sua volta, ha saccheggiato indiscriminatamente dalla riserva inesauribile delle paure di massa. Nel 1964 Stanley Kubrick firmava Il dottor Stranamore, il capolavoro del complottismo riguardante armi di distruzioni di massa. La sindrome del giorno dopo, che ha ossessionato americani, europei e sovietici nel corso della Guerra fredda, veniva qui rielaborata in forma ironicamente dissacrante, attraverso l’ordigno “Fine del Mondo”, madre di tutte le bombe atomiche. All’epoca il film fece scandalo, ma non sarebbe mai stato nemmeno girato in anni precedenti: gli anni Cinquanta furono quelli in cui la sindrome del giorno dopo ossessionò quotidianamente le coscienze delle masse. Film come L’ultima spiaggia (1959), basato sulla storia di Nevil Shute, colpirono fortemente l’immaginazione collettiva; romanzi come Il mondo che Jones creò di Philip Dick (1954) o Un cantico per Leibowitz di Walter Miller jr. (1959) per primi estrapolarono in forma narrativa la paura di massa verso le armi atomiche. Ma non solo le bombe venivano individuate come la causa dell’apocalisse: ne Il giorno dei Trifidi di John Wyndham (1951), la minaccia di organismi vegetali carnivori è prodotta da una sorta di manipolazione genetica compiuta dall’uomo. In Io sono leggenda di Matheson (1954), l’umanità è sterminata e i sopravvissuti affetti da un morbo ‘vampiresco’ a causa probabilmente di una guerra batteriologica.

Il rapporto però è anche inverso: non sono pochi i casi in cui è la realtà ad aver preso spunto dalla fantasia. Quando Ronald Reagan fece suo il progetto ufficialmente noto come “iniziativa di difesa strategica” (SDI in inglese), lo chiamò popolarmente “Guerre stellari” in omaggio alla celebre saga cinematografica della fantascienza. I raggi laser che i satelliti difensivi dovevano essere capaci di sparare avevano non poche attinenze con i raggi letali della Morte Nera, gioiello distruttivo di quel film. Molta narrativa fantascientifica, inoltre, deve aver ispirato il Pentagono nei suoi progetti di robot combattenti. I cyborg, esseri cibernetici a metà tra biologico e artificiale, hanno dominato le pagine di una certa fantascienza del Novecento e ispirato film di successo come Terminator. Costruire simili, imbattibili forze deve essere parso ai vertici militari un obiettivo importante da conseguire8. E che dire dell’invisibilità garantita ai velivoli stealth americani, bombardieri non soltanto quasi totalmente automatici, ma capaci di passare inosservati ai controlli di terra? Il dispositivo di occultamento presente in tante puntate di Star Trek e capace di garantire vantaggi tattici non da poco è stato certo un’ispirazione rilevante per i progettisti militari. 
Una menzione a parte merita il caso di Chernobyl. Si tratta, di nuovo, di un caso in cui è la realtà a imitare, se non a superare, molta fiction. Di nuovo, le paure di massa si appropriavano della catastrofe, apprendendo con sgomento delle mutazioni, delle devastazioni, dei rischi portati dalla nube radioattiva anche a lunghissima distanza. Di nuovo, l’evolvere della tecnologia tornava a terrorizzare non solo le coscienze meno informate ma anche quelle degli addetti ai lavori, illusisi di poter controllare ogni aspetto di un processo tecnologico inevitabilmente al di sopra delle loro forze. Chi oggi affronta la visione di un capolavoro del cinema come Stalker di Tarkovskij (1979), tratto da un racconto dei primi anni Settanta dei fratelli Strugackij, scoprirà con sgomento che la Zona proibita in cui si avventurano i tre protagonisti ha molto in comune con quella che oggi è l’area intorno a Chernobyl, un mondo morto che funge da ammonimento per la razza umana; ancora una volta, la fantasia precedeva la realtà. E allora come interpretare l’undici settembre? Si pensi a tutti i film in cui la città di New York si trova massacrata da assalti nemici, di ogni tipo: da meteoriti (Deep Impact e Armageddon, 1998) a extraterrestri (Indipendence Day, 1996), da mostri post-atomici (Godzilla, 1998; King Kong, 1933) a terroristi kamikaze (Attacco al potere, 1998). Ecco che nel 2001, a pochi anni di distanza da quando la maggior parte di questi film escono nelle sale, la fantasia si trasforma in realtà e il cittadino newyorkese comune s’interroga su cosa davvero vede in quelle immagini, si chiede quale corto circuito tra la finzione e la verità abbia prodotto tutto quello. 
La risposta, a livello di cultura popolare, è stata ritrovata in America nei supereroi. Non c’è da stupirsene: di fronte a una minaccia che appare, nonostante il terribile realismo, appartenente più all’immaginazione che alla vita reale, di fronte alle immagini di Torri cadute che sembrano appunto più “immagini” che verità, la soluzione va trovata sempre a livello di finzione. Era Capitan America a salvare il mondo dalla minaccia nazista, così come la lotta contro le ingiustizie negli anni Sessanta era condotta dai membri della “Justice League of America”. Perciò, all’indomani dell’undici settembre, tornano in auge sugli schermi cinematografici Spiderman (2002), Daredevil (2002), Hulk (2003), Batman Begins (2005), I Fantastici Quattro (2005), Superman Returns (2006), Iron Man (2007), per non parlare dei relativi sequel. Già solo due mesi dopo l’undici settembre, Sergio Brancato sosteneva: “Io credo che questo evento [l’undici settembre] sul piano simbolico sancisca il passaggio ad un nuovo ordine della realtà. Ci sarà cioè un nuovo modo della società contemporanea – delle società contemporanee – di rappresentare se stesse. Poiché, come ogni forma dell’immaginario, anche il dispositivo del supereroe è un modo attraverso cui le comunità e le società si autorappresentano, è evidente che anche questa forma comunicativa affronterà un processo di trasformazione anche probabilmente piuttosto profondo”9. Questa trasformazione profetizzata si è puntualmente verificata, in risposta alle nuove paure di massa e a una nuova sindrome del giorno dopo. Resta da vedere se sia la soluzione più adatta in un mondo che diventa ogni giorno più incapace di distinguere la realtà dalla finzione.


 

:: note ::


1. Georges Lefebvre, La grande paura del1789, Einaudi, Torino 1973.

2. Michel Vovelle, La scoperta della politica. Geopolitica della Rivoluzione francese, Edipuglia, Bari 1995.

3. Francis Fukuyama, La fine della Storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 2003.

4. I tristemente noti e comprovati studi sovietici nel lago Aral sul virus del vaiolo. Cfr. a puro titolo d’esempio http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Washington-18:22/38807/7. 

5. Si vedano le teorie cospirazioniste riguardo l’azione umana dietro lo tsunami del 26 dicembre 2004, come ad es. http://www.indicius.it/torpore/tsunami_4.htm. 

6. Ulrich Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma 2000.

7. La notizia di un buco nero che avrebbe inghiottito la Terra all’indomani dell’esperimento di prova dell’LHC, il nuovo acceleratore di particelle del CERN di Ginevra, il 10 settembre 2008, ha dominato le pagine dei giornali e i servizi dei tg di mezzo mondo benché priva della minima consistenza scientifica. 

8.  Cfr. ad esempio Usa, tute high-tech per soldati robot, http://www.scienze.tv/node/3856. 

9. Intervista di Fabio Bonetti ad Alessandro Di Nocera e Sergio Brancato, I supereroi dopo l’11 settembre, in “Fucine Mute” n. 34, novembre 2001, http://www.fucine.com/archivio/fm34/brancato_dinocera.htm.