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Le culture del feticismo messe a nudo da Louise J. Kaplan
di Adolfo Fattori

louise kaplanLouise J. Kaplan è una delle più influenti ed eterodosse psicoanaliste viventi. Newyorkese, esercita nella Grande Mela la sua attività di psicoterapeuta, e si occupa in particolare di tematiche connesse al femminismo. In Italia sono stati tradotti Perversioni femminili. Le tentazioni di Emma Bovary, 1992, (Female Perversions: The Tempations of Emma Bovary, 1991) – da cui Susan Streitfeld ha realizzato nel 1996 un film – e Voci dal silenzio. La perdita di una persona amata e le forze psicologiche che tengono vivo il dialogo interrotto, 1996 (No Voice is Ever Wholly Lost, 1995), pubblicati entrambi da Raffaello Cortina.
La casa editrice Erickson di Trento ha appena pubblicato la traduzione italiana del suo ultimo lavoro, Falsi idoli. Le culture del feticismo (Culture of Fetishism, 2006), in cui la studiosa utilizza come chiave di lettura quelle che definisce “cultura del feticismo” e “strategia feticista”, applicandole all’uso del corpo femminile nel cinema, alle pratiche di intervento sul corpo – dal piercing, ai tatuaggi, fino alla scarificazione e all’automutilazione – per riflettere sulla direzione che la società postmoderna ha imboccato in termini di controllo delle energie personali e del desiderio.
Ci sembra che queste definizioni diano bene un nome – oggi – alle tendenze analizzate e denunciate negli ultimi due decenni dagli studiosi che hanno provato a definire l’avvento e il dispiegamento degli effetti della società postindustriale. Ecco su questo vasto intreccio di temi, che cosa ne pensa, Louise J. Kaplan.

Rimanendo per ora centrati sulla definizione classica di feticismo come fenomeno che riguarda in senso stretto la sfera sessuale, alcuni passi del suo libro ci hanno ricordato ciò che scriveva anni fa Mario Perniola, filosofo italiano, nel suo Il sex appeal dell’inorganico, pubblicato nel 19941. Perniola sosteneva allora che si doveva prevedere il passaggio ad una sessualità neutra, artificiale – inorganica, appunto – cui fra l’altro il feticismo sarebbe l’approccio alla sessualità più affine. Dal suo punto di vista, ci sono affinità con la sua definizione della strategia feticista come – se capiamo bene – strategia complessiva di controllo nella postmodernità?
La proposta di Perniola, ossia il fatto che dobbiamo iniziare a prevedere il passaggio ad una sessualità neutra, artificiale, inorganica come un rimedio al feticismo è, a mio avviso, soltanto un altro esempio della strategia del feticismo e non certo una soluzione al conflitto inerente al feticismo stesso. Il suo suggerimento in realtà è più che altro un riflesso del primo ed elementare principio della strategia del feticismo che descrivo a pag. 12 di Falsi Idoli, “… il feticismo è una strategia mentale o una difesa … che consente a un essere umano di trasformare qualcosa o qualcuno assieme alla sua stessa energia ed enigmatica essenza immateriale, in qualcosa o qualcuno che possa essere materiale, tangibile e reale, una forma d’essere che pertanto rende qualcosa o qualcuno controllabili.”

A proposito delle forme di “scrittura” sul corpo di cui tratta ampiamente, e che sono anche, ormai, parte di fenomeni che vanno oltre la pratica individuale avendo assunto una dimensione sociale, sarebbe possibile – pensando anche alla tradizione della tenuta di diari – ragionare sul fatto che forse blog, chat room e altri fenomeni legati alla rete implicano uno scrivere su un corpo fattosi ormai virtuale, condiviso, collocato in rete?
Sì, questa è un’idea interessante che riguarda la dimensione sociale data alla strategia del feticismo da blog, chat room e altri fenomeni legati al web. Sono in disaccordo soltanto sul fatto che non considero questa cosa come uno scrivere su un corpo “virtuale”, “condiviso”, poiché il web è esattamente un qualcosa di inanimato, privo di una propria vitalità - cosa che è, naturalmente, la sua stessa attrattiva. Così questi scritti, permettendo di evitare i pericoli causati dalla diretta interazione umana, sembrano incarnare il quarto principio della strategia del feticismo, come ho descritto a pag. 14 di Falsi Idoli, “Quanto più pericoloso e imprevedibile è il desiderio, tanto più attenuato o distanziato dall’esperienza umana deve essere l’oggetto del feticismo. Quando la piena identità dell’oggetto sessuale è viva, piena di vivacità minacciosa,  pericolosamente imprevedibile, il desiderio che lui, o lei, suscita deve essere investito in un oggetto che è conoscibile e prevedibile.”

E sempre a questo proposito, le sperimentazioni di performers d’avanguardia come Orlan o Stelarc, come si collocano nella sua analisi?
La Sua domanda concernente Stelarc e Orlan, due diversi tipi di performers, è rilevante sia per il primo che per il quarto principio della strategia del feticismo.
Vorrei iniziare con Orlan, notando come la sua forma di scrittura sul corpo sia anche un buon esempio del fallimento della strategia che è, in parte, un rifugiarsi in un atto erotico per contenere e disciplinare l’aggressione e la morte. Come spiego nella discussione riguardo al film I racconti del cuscino2, “Solo quando la strategia del feticismo non può più sufficientemente dissimulare o regolare i vergognosi, spaventosi, vietati e pericolosamente imprevedibili impulsi, le fantasie e i desideri basilari, vengono fuori giustamente come risultato la follia, la rabbia, la violenza, lo stupro, la mutilazione del corpo, l’incesto e l’omicidio.” O, come tradotto a pagina 97 di Falsi Idoli, “Quando la strategia feticista fallisce, queste pulsioni esplodono portando follia, violenza, stupro, mutilazioni, incesto e morte.” Orlan scrive sulla propria pelle, apparentemente in nome del suo concetto di perfezione e bellezza ideale, ma ovviamente, e fin troppo ovviamente, è in realtà una diretta espressione della violenza della mutilazione corporea. 
In questo senso, è anche un fallimento del quinto principio della strategia del feticismo. A pagina 15 scrivo “La pulsione di morte prende una sfumatura erotica.” Come disse Derrida, “L’impressione di una venatura erotica disegna una maschera direttamente sulla pelle3.” 
Questo pubblico che si diverte guardando una donna che si lascia mutilare viso e corpo dai chirurghi, e questi chirurghi che si suppone debbano proteggere la salute del corpo umano, ma che invece collaborano a questi atti di mutilazione corporea, sono altre indicazioni del fallimento della strategia feticista.
Stelarc ha un'altra metodologia di coinvolgimento della strategia feticista, una metodologia che si avvicina ad alcune delle mie discussioni nel capitolo “Silicio e carbonio: la robotizzazione degli umani, l’umanizzazione degli androidi” (pp. 145-160). Qui analizzo i vari processi di trasformazione dei corpi a base di carbonio degli esseri viventi in materiali in genere a base di silicio dei robot e di altri oggetti inanimati. In questo contesto parlo di “Kismet”, un robot che è stato progettato per rispondere agli esseri umani “come se” fosse un bambino umano. In seguito descrivo “Asimo” e i suoi diversi prototipi, che hanno capacità interattive. Ma il punto principale di questo capitolo non riguarda i robot che sono costruiti per comportarsi “come se” fossero umani. In ultima analisi, m’interessa di più l’uomo che vuole trasformare i corpi umani in meccanici esseri robotici. E qui tratto di persone come Natasha Vita More, membro fondatore dell’Entropy Institute. Vita More (di sicuro un nome di fantasia) propone la fusione del corpo umano con le macchine, incorporando in esso i componenti di metallo e silicio sviluppati con le tecnologie robotiche ed elettroniche (p.156). “Propongo di progettare il prototipo di un corpo che funziona come un essere umano ma che non sia biologico al 100%, bensì piuttosto una protesi che funziona come un corpo di riserva. Questo corpo (chiamato Primo) conterrebbe delle parti come il cervello e altri organi essenziali che non potrebbero essere sostituiti, mentre le altre parti sarebbero delle protesi, dei modelli sintetici che formerebbero un sistema che ci farebbe muovere, proprio come oggi lo fa il nostro corpo4.”
Come ho commentato a proposito di Primo (157), dico che “Il principio necrofilo del feticismo è evocato dalla fantasia che gli esseri viventi e animati siano potenzialmente pericolosi e che quindi debbano esseri controllati…” (p.158) “Introdurre organismi a base di silicio come sostituti dell’esperienza umana è pericoloso, non solo per i singoli individui, ma anche per la specie.”
Stelarc molto spesso si comporta come se cercasse di trasformarsi in un Primo. Egli sostiene che noi, esseri umani, dovremmo essere in grado di contrastare la decomposizione naturale degli organi e installarne altri migliorati artificialmente. Egli argomenta così: “Il mio unico modo di vedere la cosa è che il corpo sia un prodotto di massa, ma al momento non possiede alcuna parte sostituibile. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è un approccio progettuale. Dovremmo iniziare a ri-progettare il corpo.” Alla conferenza sull’arte e la tecnologia al Blue Skies presentò i suoi vari progetti per svuotare il corpo e riempirlo con macchine di ultima generazione in preparazione a una vita nello spazio. Nelle sue varie performance, in cui si assiste a deprivazione sensoriale, al cablaggio del suo corpo per trarne un suono, alle riprese video dei suoi organi interni e all’aggancio a una terza mano robotica, egli presenta una molteplicità di metodi per mescolare il naturale con l’artificiale. Al Blue Skies ha dichiarato, “La cosa importante non è tanto la libertà d’informazione, ma la libertà della forma, la libertà di mutare e modificare il nostro corpo.” 
Uno dei modi con cui Stelarc ha cercato di illustrare questa libertà è stato quello di farsi impiantare dei ganci in varie parti del corpo, in modo che potesse essere sospeso su diversi paesaggi e città. Le immagini del rituale del dolore e della resistenza che Stelarc si autoimpone nella sua cosiddetta esplorazione scientifica del corpo nello spazio, sembrano essere più affini agli scenari di mutilazione corporea di Orlan. Tuttavia, Stelarc non viola i confini del corpo umano nel modo in cui lo fa Orlan. La sua filosofia, anche se molto spesso è esplicitata fuori e dentro il suo corpo, è più che altro contenuta nel regno delle idee. Certo, però, il suo mix tra naturale e artificiale è molto vicino a essere sintomatico di un fallimento della strategia feticista, un sintomo non molto differente dalle mutilazioni corporee di Orlan.
Non bisogna necessariamente essere degli artisti per prendere in considerazione le possibilità di trasformare un corpo in un cyber-corpo. Nell’ultimo capitolo di Falsi Idoli, ho presentato l’esempio di un Professore di Cibernetica, Kevin Warwick5 (p. 163) che, nel suo libro I, Cyborg, scriveva di come avesse il proprio sistema nervoso collegato a un computer. Lui e il computer s’inviano segnali di pensiero in entrata e in uscita. “...e questo gli diede la possibilità di accendere e spegnere le luci con il pensiero, di muovere una mano meccanica e perfino sentire quanta forza la mano stesse utilizzando. Warwick poteva anche controllare con i suoi segnali neuronali apparecchi situati dall’altra parte del mondo.”
Allo stesso modo, quando un giornalista di New York City intervistò cittadini comuni che erano collegati ai propri I-Pod, cellulari, computer portatili, e altri gadget che portavano con sé ogni giorno, trovò persone che fantasticavano di avere il proprio sistema nervoso collegato alle loro macchine. Uno di questi, un ex componente dei Grateful Dead, desiderava che qualcuno inventasse un impianto nel cervello che “potesse essere un’interfaccia definitiva tra il proprio sistema nervoso e un sistema nervoso aggiuntivo più grande capace di essere acceso e spento in modi diversi, costantemente configurabili in modo che non sia necessario fare un upgrade comprandone una nuova versione ogni sei mesi.” (Falsi Idoli, pag. 162).

Le commistioni fra organico e artificiale nel corpo sono da tempo al centro del dibattito sul post-umano. Lei cita le “tre leggi della robotica” di Isaac Asimov e riporta le riflessioni e previsioni di cibernetici e scienziati. Ma forse il luogo dove il tema raggiunge il suo punto focale è il film Blade Runner6 di Ridley Scott. Cosa pensa del modo in cui il problema viene affrontato nel film?
Sì, sono d’accordo con Lei sul fatto che questi interrogativi sui rapporti tra uomo e robot abbiano raggiunto un punto focale nel fantastico film di Ridley Scott. Tratto dal romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi7, il film spinge gli spettatori a simpatizzare per gli esseri artificiali, gli androidi. Questa solidarietà è evocata in particolare dalla situazione della replicante Pris, che viene distrutta dall’umano, Deckard, il cacciatore di replicanti che agisce convinto che lei, come gli altri replicanti, è diventata malvagia e pericolosa. Tuttavia si innamora di un’altra replicante, Rachael. Le visioni del bene e del male in questo film aderiscono al romanzo nel senso che gli androidi sono rappresentati come esseri più sensibili nei loro sentimenti e pensieri rispetto agli umani che li disprezzano, li temono e li scacciano. Mentre Blade Runner non illustra alcuno dei principi della strategia feticista, il film dimostra come le tendenze erotiche aggressive e violente negli umani sono spesso giustificate in nome della legge e dell’ordine. Nel romanzo e nel film, la legge della Terra incoraggia la violenza e la rabbia delle persone, che hanno perso la propria umanità essenziale poiché vivono in un mondo vuoto che è stato privato dei principi morali. Esso illustra inoltre che gli uomini possono essere meno umani e più violenti degli androidi che creano. In Blade Runner, ciò che è organico tende alla disumanità e alla crudeltà, mentre l’artificiale, gli androidi appunto, può essere più compassionevole e umano. Blade Runner imposta una nuova prospettiva sui rapporti tra umani e androidi, una prospettiva seguita anche da altri film, dove l’androide è un sensibile e affettuoso sostegno per gli umani – come in Intelligenza Artificiale8. D’altro canto, film più specifici come Terminator9 e Alien10, sottolineano la crudeltà e l’aggressione degli androidi e la necessità dell’uomo di distruggerli.

Lei dedica un intero capitolo del suo libro alle strategie feticiste che si annidano all’interno dello stesso establishment psicoanalitico americano, questione fra l’altro dibattuta, anche se forse non negli stessi termini, anche in Italia. C’è una sorta di autoreferenzialità in tutto ciò ci sembra: una versione perversa dell’anello di Mœbius che lei cita a proposito del rapporto fra interno ed esterno del corpo. Un ragionamento simile, in forma più generale, lo conduce Fredric Jameson nel suo Postmodernismo11, a proposito del fatto che la stessa riflessione sulla postmodernità è un fenomeno postmoderno. Percepisce una relazione fra i due fenomeni?
Potrei dire “Sì, Lei ha ragione nel far riferimento a un paradossale anello di Moebius che ruota attorno ad un libero fluire della vita interna in modo tale da legarla a regole esterne di una istituzione psicanalitica che vuole controllare e dominare la vita interna.” Considerando che, come ben sappiamo, un vero Moebius sarebbe diventato una parte organica di quella vita interna, e l’avrebbe aiutata a esprimerla. 
Nel mio capitolo sulla psicoanalisi presento questa preoccupante situazione, riprendendo alcuni dei miei precedenti commenti sul feticismo. Vorrei iniziare a discutere su come il feticista sessuale utilizza il proprio feticcio per soggiogare la vitalità erotica del suo partner. “Per il feticista sessuale, ciò che è inanimato, o un corpo quasi inanimato, è di gran lunga preferibile a un corpo desideroso che potrebbe avanzare le proprie ambigue energie.” Terminando questa introduzione al feticismo psicoanalitico, torno al capitolo precedente che riguarda la “Febbre d’Archivio” dei biografi. “La scrittura di una biografia è destinata a portare in vita la storia di un soggetto vissuto o ancora vivente. Tuttavia, troppo spesso l’ansia d’archiviazione che affligge questa nobile impresa riesce a schiacciare queste vitalità.” In sintesi, si potrebbe dire che, troppo spesso, le imprese che iniziano con l’intento di creare ostacolano le forze vitali nel loro esprimersi. E questo triste stato di cose è purtroppo vero per la formazione psicoanalitica nella maggior parte degli istituti psicoanalitici. Come ho detto (a p.113 di Falsi Idoli), “La strategia feticista è all’opera, con un’ironia ancora più drammatica, anche nella formazione degli psicoanalisti.  Questo è particolarmente triste perché se c’è una disciplina il cui fine e la promozione della vitalità e della creatività, quella è la psicoanalisi. Tuttavia, l’addestramento psicoanalitico e condotto esattamente in modo da uccidere qualsiasi creatività.”
Quindi pongo la questione di come un processo basato su un ideale di libera associazione può prendere vita in un processo fondato sulla legge e l’ordine. Secondo i principi della strategia del feticismo, tutto ciò che rischia di fluire e di muoversi liberamente deve essere vincolato. Anche alcuni fermi sostenitori del libero processo di associazione hanno spesso paura di tutto ciò che potrebbe modificare i principi psicoanalitici stabiliti, e quindi dichiarare “Dovremmo cercare di mantenere ciò che abbiamo già - coltivare la terra che è stata ripulita e proteggersi dal ritorno dell’erba cattiva e della corrosione12. Come Derrida specifica nella sua introduzione a Mal d’Archivio, vi è una tensione tra l’investimento dell’analista nelle energie “volubili e fluide” della situazione analitica che consentono l’imprevisto, ciò che non si conosce, ed eventualmente le vitalità vaganti dell’intima realtà psichica del paziente che emergono, e i principi della legge e l’ordine che vengono perpetuati negli istituti psicoanalitici.
Potremmo chiederci: “Cosa c’è nelle vitalità creative della situazione clinica di così spaventoso per gli analisti esperti che sono responsabili della formazione dei candidati in psicoanalisi?” Nel suo saggio Thirty Methods to Destroy the Creativity of Psychoanalytic Candidates13, Otto Kernberg propone una risposta a questa domanda, “Se vi è una scintilla, si può sviluppare un incendio specialmente se questa scintilla appare al centro del legno morto. Bisogna estinguerla prima che sia troppo tardi.” Kernberg, senza saperlo, enuncia il secondo principio della strategia del feticismo. Il feticismo trasforma l’ambiguità e l’incertezza in qualcosa di certo e conoscibile e, in tal modo, spegne qualsiasi scintilla di creatività che potrebbe incendiare i fuochi della ribellione14
In conclusione di questo capitolo, rivolgo una raccomandazione agli psicoanalisti. Propongo un metodo per mantenere il processo di analisi vivo e in movimento, attirando la loro attenzione al terzo principio della strategia del feticismo. Il feticismo porta in primo piano alcuni dettagli dell’esperienza al fine di mascherare e nascondere altre caratteristiche che vengono così celate nell’ombra e lasciate ai margini. Ad esempio, la presenza prepotente di maschere erotiche nasconde e copre le lacune che altrimenti ci ricorderebbero qualcosa di traumatico15
Nella Sua domanda, Lei ha suggerito anche che alcune delle mie riflessioni sulle varie espressioni del feticismo nella formazione psicoanalitica ricordano ciò che è accaduto alle vitalità originariamente ispirate al Postmodernismo. Non conosco Postmodernismo di Jameson ma posso immaginare dai Suoi riferimenti su questi scritti che egli osservi oggigiorno come le riflessioni sul Postmodernismo pedanti, di mentalità letteraria, ristretti stiano uccidendo lo spirito essenziale e la vitalità del Postmodernismo stesso.

Il tema della morte di una persona cara, che lei affronta in Voci dal silenzio (No Voice is Ever Wholly Lost) e l’incapacità per la nostra cultura di gestire l’idea della morte è anche uno degli argomenti cardine della sociologia contemporanea, come in Zygmunt Bauman, Il teatro dell’immortalità16. Cosa può dirci al proposito?
(Infatti in Falsi Idoli)… vado poi avanti nel mostrare come la farsa erotica del feticismo sessuale che si trova in cima alla lista delle perversioni si estende infine all’ultima perversione nella lista – la necrofilia – l’istinto di morte, che si dipinge di sfumature erotiche. Dovremmo, quindi, sospettare che ci sia un tema erotico che occupa un posto di primo piano nell’analisi e che la ricerca della morte sia un tema relegato in secondo piano. Qui mi sto riferendo anche a questa domanda, concernente l’incapacità della nostra cultura di gestire l’“idea della morte” e di come questa incapacità sia diventata una pietra miliare nella sociologia contemporanea, come nel lavoro di Zygmunt Bauman Il teatro dell’immortalità. E, naturalmente, anche qui sto parlando dei modi per evitare la morte, cosa che è stata così ben evidenziata nelle fantasie menzionate in precedenza riguardo alla sostituzione delle parti umani in decadimento con parti robotiche.

Le sue considerazioni sulle personalità “As-if” e sui reality show rimandano all’intero dibattito sociologico sui mass media, sui loro effetti, sull’infantilizzazione delle identità contemporanee. Le posizioni di sociologi e filosofi contemporanei come Pascal Bruckner17, ad esempio, sono compatibili con le analisi psicoanalitiche?
Ancora, tutte le più sofisticate strategie di marketing mirano a fornire un’identità al brand e ad instaurare relazioni con i consumatori definite brand experience e shopping experience. È forse qui che si annida il “virus” da cui si originano tutte le dinamiche feticistiche? O, quantomeno, è questa la dimensione feticistica della civiltà materiale?

E ora, infine, queste ultime due domande – (su problemi) che in Falsi Idoli, sono trattati come diversi aspetti di un’unica tendenza nella società contemporanea - cui Lei si riferisce come “dimensione feticistica della civiltà materiale”.
Non so molto su Pascal Bruckner, che negli Stati Uniti ha una reputazione incerta, essendo un fascista mascherato da multiculturalista. Ma so che Lei ha centrato il punto quando richiama l’attenzione sull’infantilizzazione delle identità contemporanee nelle personalità “as-if” focalizzate sugli spettatori dei reality in tv. 
Nella conclusione del mio capitolo basato sul feticismo delle merci in Marx, nella versione italiana di Falsi Idoli, appunto “Il feticismo delle merci”, parlo in particolare del reality show TV, The Real World, che cattura una dimensione speciale della strategia del feticismo: “La robotizzazione dell’essere umano. In questo senso è la conferma della profezia di Marx quando diceva che gli esseri umani stavano diventando immaginari e irreali, mentre le cose immaginarie diventavano reali e tangibili.” Quindi ripeto la citazione che apre questo capitolo sul feticismo delle merci di Marx, “Tutto il nostro progresso e le nostre invenzioni attribuiscono una vita intellettuale alle forze materiali e mortificano la vita umana con la forza materiale.” Uso frequentemente questo motto di Marx nel corso del libro e faccio riferimento ad esso specialmente nel mio capitolo sui robot e gli umani.
Naturalmente, Marx parlava nello specifico della mercificazione degli esseri umani. È la pietra miliare delle sue teorie sulle relazioni sociali incorporate nella produzione di merci. Il “segreto” del feticismo delle merci si pone fuori dai rapporti intricati tra il lavoratore il cui lavoro produce la merce e il capitalista, che di quel lavoro si nutre per massimizzare il profitto ricavato dalla merce venduta. Nella mia introduzione a questo capitolo, vorrei dire che il primo principio della strategia del feticismo acquista una espressione definitiva nel concetto di surplus labor di Marx. Quando il surplus labor di un lavoratore si trasforma nel profitto per il capitalista, il lavoratore si trasforma in merce - una cosa inanimata come una scarpa o un tavolo. Così, qualcuno dotato di una propria energia enigmatica e di una essenza immateriale viene trasformato in qualcuno o qualcosa di reale e materiale. 
Nell’ultimo capitolo intitolato Le Culture del feticismo, ritorno sul capitolo “Scrivere Sulla Pelle,” e su una recensione di un film che tratta le mutilazioni della pelle, In My Skin18. Il recensore sottolinea che il taglio della pelle, la compulsione a tagliarsi la pelle, è un tentativo disperato di ristabilire una connessione con un corpo che è stato perso. Ed egli identifica anche le culture e le razze che coltivano questa sconnessione con il corpo umano. “In una sterile cultura aziendale dove gli appetiti umani sono quantificati, addomesticati e manipolati da ricerche di mercato e dove le persone vengono ricompensate per il loro funzionamento come degli automi, i tic incontrollabili sono davvero le ansiose convulsioni di ribellione di uno spirito animale oppresso.”
E proseguo questo ragionamento dicendo (pag. 162) “Molti, anche se sembrano adattarsi senza problemi alle tecnologie che sono offerte, rispondono inconsciamente con il tremore di un animale che  è tormentato da un qualcosa che non comprende.”
“La sterile cultura aziendale” che manipola i desideri e gli appetiti umani attraverso le sue duplici pratiche di mercato, è una variazione del feticismo delle merci che aliena gli esseri umani da gli altri esseri umani e da essi stessi. La cultura aziendale, oggigiorno personificata dalla presenza di Donald Trump e del suo reality TV show The Apprentice, è una forza potente, non soltanto in un reality TV ma nella vita di tutti i giorni. 
E quindi chiedo, “Perché gli esseri umani accettano la disumanizzazione, l’alienazione, la commercializzazione? Siamo più a nostro agio in un monologo con una macchina che rispecchia semplicemente quello di cui abbiamo bisogno e quello che desideriamo, rispetto ad un rapporto che richiede un incerto ed ambiguo scambio di dialogo umano?”
E in questo caso spesso rispondo citando Engels, “Proprio come le persone sembrano impegnate in una rivoluzionaria trasformazione di se stessi e di ciò che li circonda – come sostiene Engels – essi evocano ansiosamente in loro aiuto gli spiriti del passato, prendono in prestito i loro nomi, grida di battaglia, costumi, al fine di ristabilire una nuova fase storica del mondo in una maschera onorata nel tempo e in discorsi presi in prestito”. 
Come ci suggerisce la strategia del feticismo, è più sicuro rimanere in ciò che è noto e certo, anche se questo significa soffrire e subire nuovamente i traumi del passato, piuttosto che tentare di creare qualcosa di nuovo ed incerto, con tutte le invitanti ambiguità e le possibilità impegnative che ciò comporta. La creatività è un pericolo. Se c’è una scintilla, può svilupparsi un incendio. Bisogna spegnerla prima che sia troppo tardi.
Spero di aver risposto alla maggior parte delle Sue domande. In tutti gli esempi, ho tentato di riferirmi alle parole che ho scritto in Falsi Idoli. E sono stata felice di scoprire che la maggior parte delle volte le risposte erano proprio lì.

 
 

:: note ::

1. M. Perniola, Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino, 1994.

2. Peter Greenaway, I racconti del cuscino (The Pillow Book), GB, 1995 (ndr)

3. Jacques Derrida, Mal d’archivio Un’impressione freudiana, Filema, Napoli, 1996 (Mal d’archive, Paris,  Galilée, 1995). 
La Kaplan fa riferimento alla traduzione in inglese Archive Fever. A Freudian Impression, Chicago and London, University of Chicago Press, 1996 (ndr)

 4. Qui Louise Kaplan riporta la citazione da Natasha Vita More che già aveva inserito in Falsi idoli (ndr)

5. Kevin Warwick, I, Cyborg. University of Illinois Press, 2004.

6. R. Scott, Blade Runner, USA, 1982.

7. Oggi ristampato come Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Fanucci, Roma, 2000, titolo più aderente a quello originale. (ndr)

8. Steven Spielberg, A. I. Intelligenza Artificiale, USA, 2001.

9. James Cameron, Terminator, USA, 1984

10. Ridley Scott, Alien, USA, 1979.

11. F. Jameson, Postmodernismo, Fazi, Milano, 2007;  Cfr. Quaderni d’Altri Tempi n.XI: Postmodernismo ovvero La logica culturale del tardo capitalismo

12. Corsivo dell’Autrice (ndr)

13. In “International Journal of Psychoanalysis”, n. 30.

14. Il corsivo è dell’Autrice (ndr)

15. Il corsivo è dell’Autrice (ndr)

16. Z. Bauman, Il teatro dell’immortalità, Il Mulino, Bologna, 1995. cfr. Quaderni d'Altri Tempi n.XI: Zygmunt Bauman: questa società liquida… l’uomo

17. Pascal Bruckner, La tentazione dell'innocenza, Ipermedium libri, S. Maria C.V., 2001

18. Marina De Van, Dans ma peau, France, 2002.