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Pionieri e paesaggisti del nascente impero Usa
di Giovanni De Notaris

trevorIl presupposto principale che spinse i pittori statunitensi a cimentarsi nella pittura di paesaggio fu invero molto singolare; esso rispondeva all’inevitabilità di esplorare e conoscere il nuovo continente al fine di comprendere appieno i luoghi dove sarebbe stato possibile insediarsi. Si potrebbe dire che il paesaggismo americano fu un effetto del progressivo tracciamento topografico di zone incontaminate. I primi esploratori a costo della vita disegnarono infatti mappe e carte delle regioni visitate, abbozzando nel frattempo anche scene di vita indigena. Questo bisogno di conoscenza e quindi di esplorazione, avrebbe contrassegnato tutta la storia dell’Ottocento americano, ripercuotendosi ovviamente nella pittura. Buona parte dei primi ritratti ebbero come oggetto le popolazioni indiane, che si manifestavano sin dai primi incontri, colme di arcani riti. Ma ben presto ci si accorse anche delle meraviglie offerte da suggestivi panorami, e quindi si avvertì la necessità di riprodurre su tela quegli spettacolari paesaggi che l’ignoto continente offriva.

Fin dalle prime esplorazioni si impose il genere della veduta, che anche nelle dimensioni delle tele, apparve pian piano sempre più enorme, quasi a voler venire incontro alla maestosità della natura che stava per essere ritratta, ma anche per trasmettere l’energia che da quei paesaggi scaturiva. Anche in America però, come in Europa, le prime vedute non erano dal vero ma legate all’ideale romantico, ed è qui che è possibile citare i dipinti di Washington Allston (1779-1843) e John Vanderlyn (1775-1852), come ad esempio il Paesaggio al chiaro di luna del pittore di Georgetown o l’Arianna addormentata sull’isola di Naxos dell’artista di Kingston. Proprio per l’importanza che costituiva l’esplorazione dei paesaggi, non si può evidentemente restare sorpresi dal fatto che la prima vera scuola di pittura dell’Ottocento americano sia stata proprio una scuola di paesaggisti, e cioè la Hudson River School fondata da Thomas Cole (1801-1848) e Asher Brown Durand (1796-1886), scuola che ebbe un proficuo seguito fino alla seconda metà del secolo. Costoro non sempre si  attenevano alla realtà, evocando talvolta suggestivi scorci di paesaggi pastorali, con la precisa finalità di glorificare la presenza divina insita nella natura; questa idea è ben espressa ne Le cascate del Niagara di Cole. Durand invece pareva dissentire dagli alti ideali del suo collega, ritraendo con precisione analitica tutto ciò da lui osservato senza lasciarsi trasportare dal romanticismo, come è chiaramente osservabile ne Le pianure di Dover; per un osservatore le scene apparivano molto difficili da esaminare proprio per l’estrema precisione. Tuttavia il campo d’azione degli artisti citati finora, era in realtà alquanto ristretto, limitandosi ai soli paesaggi del New England.

Altri esponenti dell’Hudson River School al contrario decisero di occuparsi dei territori inesplorati dell’Ovest, diffondendo così immagini di territori ancora incontaminati, caratterizzati dalla totale assenza dell’uomo; essi rispondevano ai nomi di Albert Bierstadt (1830-1902) e Frederic Edwin Church (1826-1900). I due continuarono sulla strada del realismo analitico di Durand, tentando di avvicinarsi il più possibile al selvaggio spettacolo che la natura del West offriva loro, quasi che la dimensione delle loro tele stentasse a contenere la grandiosità dei paesaggi, come magnificamente espresso nell’Alba a Yosemite di Bierstadt, per realizzare la quale il pittore si accampò per sette settimane nella valle delimitata dalle pareti rocciose della Sierra Nevada. Per Church invece, che ci ha lasciato delle splendide vedute di paesaggi dell’Ecuador, vale la pena citare l’intenso Tramonto nella natura selvaggia.

Uno dei generi che la veduta europea trasmise a quella statunitense fu certamente la marina che ebbe in Fitz Hugh Lane (1804-1865) e Martin Johnson Heade (1819-1904) due assoluti protagonisti, dai cui dipinti però ancora traspariva un velato romanticismo, come in Navi bloccate dal ghiaccio al largo dell’isola di Ten Pound presso Gloucester di Lane e in Crepuscolo di Heade. Ad una prima analisi appare piuttosto difficile comprendere, questa strana predilezione per il Romanticismo in una nazione così fortemente pragmatica come gli Stati Uniti, ma se citiamo il ben conosciuto motto One Nation under God, ne comprendiamo il motivo; il Romanticismo rispondeva al bisogno di questi artisti di confermare che il trascendente era sempre presente nella natura e quindi nell’animo umano. Pian piano però anche la pittura di genere cominciò ad imporsi, dalla metà dell’Ottocento, decretando l’importanza delle scene di vita quotidiana. Tra gli esponenti di spicco di questo tipo di veduta è d’obbligo citare William Sidney Mount (1807-1868) e George Caleb Bingham (1811-1879). Costoro aspiravano a celebrare l’autenticità e forse anche la banalità della vita rurale, senza fronzoli, immortalando la dignità della gente comune; lo si nota in scene come La contrattazione per un cavallo del pittore di Long Island, o in Cacciatori di pelli lungo il Missouri  dell’artista di Augusta County. Con queste vedute si tentava di sostenere i caratteri sociali di una generazione che aveva reso grande l’America e che troppo spesso la pittura trascurava per donarsi a scene di vita militare, che magnificavano in maggior misura l’ostinazione del popolo degli Stati Uniti ad affermarsi sulle nazioni indiane. Winslow Homer (1836-1910) difatti iniziò la sua carriera proprio rappresentando episodi della guerra civile, tale era l’interesse per le scene belliche. 

Di scene di vita militare, connesse particolarmente all’epopea del West, si occupò anche Frederic Sackrider Remington (1861-1909), altro paesaggista, sofisticato e cosmopolita, dalle cui tele traspare spesso un accentuato dinamismo, ben percepibile in dipinti come L’azione del IV Cavalleggeri. La sua autorità di autentico testimone della storia dell’Ovest americano verrà sancita dal presidente Theodore Roosevelt (1858-1919) che lo definì “testimone di un’avventura che accomuna tutti gli americani”. Nella seconda metà dell’Ottocento però, anche i pittori statunitensi appaiono profondamente influenzati dalla pittura impressionista europea, tanto da trovare fortuna più nel vecchio continente che nel nuovo, quasi che ormai la celebrazione del mito americano fosse conclusa a scapito dei raffinati gusti dell’alta società europea. Uno degli ultimi veri e propri paesaggisti realisti, fu George Innes (1825-1894), che ben presto tuttavia si convertì alle sofisticazioni europee, abbandonando un meraviglioso stile dal vero, come nella tela La valle di Lackawanna, per avvicinarsi all’Impressionismo con L’estate di San Martino. Analoga sorte toccherà a John Henry Twachtman (1853-1902), altro esponente dell’Impressionismo americano, le cui tele sono palesemente destinate ad un persistente avvicinamento alle evocative atmosfere dei pittori europei, come nel Ponte bianco. Ora appare evidente che questo stile e di conseguenza  gli artisti che lo perseguivano non potessero trovare il favore del pubblico americano, che da sempre manifestava  la risoluzione a rompere in ogni modo con le tradizioni europee, ma paradossalmente, pur imitando lo stile impressionista, non poterono trovare pieno riconoscimento neppure nella vecchia Europa; tanto forte era la potenza espressiva degli autentici impressionisti.

È opportuno citare un ultimo impressionista statunitense che risponde al nome di Frederic Childe Hassam (1859-1935). I suoi dipinti come Washington Arch, Primavera sanciscono il definitivo strappo col tradizionale paesaggismo americano. Eppure il Novecento avrebbe presentato un nuovo soggetto meritevole di rappresentazione: la vita metropolitana. I pittori della prima metà del XX secolo afferrarono infatti quali nuovi orizzonti avrebbe potuto offrir loro la rappresentazione dell’evoluzione della metropoli. Avrebbero in sostanza potuto rispondere per le rime a tutti quei paesaggisti europei che da secoli esaltavano le meraviglie delle loro città. A tale esigenza le prime risposte provennero da John Sloane (1871-1951), esponente del gruppo degli Otto (i realisti newyorkesi) che aveva una decisa predilezione per la Grande Mela e per le sue scene di vita quotidiana e di miseria, analizzate ed eseguite con perizia, come in Domenica, donne che si asciugano i capelli, dove ancora traspare qualche reminiscenza impressionista.

Eppure come detto prima una nuova era si mostrava agli occhi dell’artista americano, un nuovo soggetto a cui l’Europa non poteva che bramare. La metropoli dunque, fredda, violenta, ma anche misteriosa ed in continua estensione verso l’alto. Saranno proprio le caratteristiche architetture a offrire ispirazione agli artisti per celebrare l’egemonia culturale dello Zio Sam, e le scene quotidiane della metropoli sostituiranno pienamente i soggetti che tanto cari furono ai paesaggisti della Hudson River School. Adesso il nuovo paesaggio tipico non è più quello del West o del New England, ma quello urbano, e celebratore assoluto di questo genere fu Edward Hopper (1882-1967), vera essenza del paesaggismo americano del Novecento. La sua metropoli appare fredda, malinconica e sempre silente in ogni sua manifestazione. Lo notiamo in Domenica, ma anche in scene di vita quotidiana o familiare come In ufficio di notte. In questi dipinti emerge chiaramente la solitudine dell’uomo, quasi oramai prigioniero delle sue stesse creazioni. Ed è proprio con la solitudine dell’artista di New York che ci congediamo dalla autorevole avventura del vedutismo statunitense.