A quanti gradi brucia la speranza? Fahrenheit 451 di Daniela Fabro 


Da subito scoppia la scintilla della contraddizione, quella che, secondo una frase celebre, “muove il mondo”. Il protagonista è affascinato dallo spirito libero della giovane donna ma non lo comprende. Almeno non lo fa proprio fino a quando altre tristi circostanze non lo costringeranno a riflettere sulla sua condizione di essere non libero in una società che lo scrittore tratteggia come tiranneggiata dalla tecnologia.

Oggi noi sappiamo che i progressi scientifici, e le loro applicazioni, convivono con la cultura umanistica e la carta stampata, e che anzi, forse, in un certo senso ci hanno reso più liberi e più uguali.

Come scriveva Alexis de Tocqueville,[3] nel 1835, nell’opera che lo ha reso celebre, La democrazia in America: “Se si scorrono le pagine della nostra storia, si può dire che non si incontra un solo avvenimento di particolare importanza che in questi ultimi settecento anni non si sia risolto in favore dell’uguaglianza sociale.”

Naturalmente tra queste parole e la nostra realtà c’è di mezzo il Novecento, un secolo capace, con i suoi orrori, di cancellare ogni ottimismo sulle ”magnifiche sorti e progressive”. Ed è proprio alle tirannie del secolo breve che molta parte della fantascienza americana contemporanea a quella di Bradbury, pensiamo a Philip K. Dick e alla sua Svastica sul sole,[4] deve le sue ossessioni oniriche e i paesaggi immaginifici della mente.

Sul mondo fantastico dell’autore incombono così fame e un’altra guerra – non dimentichiamo che Bradbury, nato nel 1920, ha vissuto il Secondo conflitto mondiale – che, nella parte conclusiva del romanzo, darà vita a una descrizione dalla grande forza emotiva e simbolica del bombardamento sulla città. E delle sue conseguenze funeste non solo per le  persone che vi abitano, ma per tutta l’umanità che non ha saputo fare tesoro del ricordo dei morti del passato per scongiurare altri eccidi in futuro.

A noi che siamo bombardati tutti i giorni da notizie di guerre tra le più atroci, di genocidi e massacri da ogni parte del mondo, come sembra adesso ingenuo l’appello di Bradbury alla pace e alla buona volontà dell’uomo contro le carneficine. A quanto pare, i peggiori istinti ci sono connaturati.

Limitato appare, di fronte alle nostre conquiste scientifiche, l’universo tecnologico creato dall’autore. Che, in sintesi, è composto da “conchiglie” auricolari per ascoltare la radio, da intere pareti tv al posto del piccolo schermo, e dal cane-robot Segugio Meccanico che fiuta gli odori, è capace di riconoscere le persone e di ucciderle con il suo pungiglione alla procaina, una sostanza letale.

E quando Montag e il suo mentore Faber, uno degli ispiratori della ribellione del protagonista contro il potere, si danno appuntamento nella più lontana città di St. Louis, dove entrambi vogliono riparare dopo la fuga dai militi incendiari, promettono di cercarsi tramite fermoposta. Quando oggi lo si farebbe per e-mail o per sms.

Ma prevedere l’avvento di internet a quei tempi era una capacità ovviamente impossibile e il fascino che ancora esercita su di noi il romanzo di Bradbury si deve all’universo fantastico che ha saputo creare attingendo ai suoi fantasmi inconsci.

Come nei migliori romanzi mainstream, l’autore individua psicologie, inventa dialoghi, tratteggia descrizioni con l’abilità di un grande maestro della parola e del suo potere evocativo, a partire da piccoli spunti per arrivare a scoprire verità universali, raccontate dalla letteratura di tutti i tempi.

Così i libri acquistano il valore simbolico di difensori dell’umanità, le ragazze semplici e pure incarnano i valori eterni della bellezza e della poesia, le mogli alienate diventano archetipi della donna cattiva, l’uomo che si vuole riscattare è l’individuo solo di fronte alla crudeltà del potere e alla spersonalizzazione cui questo lo conduce. E gli uomini-libro del finale imparano ciascuno un volume a memoria per trasmetterlo alle generazioni future.  

Fahrenheit 451 ci rivela così, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la fantascienza è ovunque tranne che nella fantascienza. E che la scrittura esprime la sua intera potenzialità proprio quando ambisce, in un autore di talento, a raccontarci l’odissea dello spirito verso l’acquisizione di una maggiore capacità critica e indipendenza.
 


[3] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Utet, Torino, 2007.

[4] Philip K. Dick, La svastica sul sole, Fanucci, Roma, 2007.
 

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