The Unfairground
di Kevin Ayers

Lo-Max

 

 

 

 





 

The Unfairground  di Kevin Ayers

 

Kevin Ayers e….il pensiero va ad un filmato del 1972 con l’ex Soft Machine, capelli biondi alla paggetto, completo bianco e sguardo da sciupafemmine, tra un giovanissimo Mike Oldfield al basso e un imperturbabile Lol Coxhill al sax soprano in un’elegante vestaglia da camera color vinaccia. Accompagnati da un altrettanto eccentrico David Bedford alla fisarmonica e uno scapigliato Mike Fincher alla batteria eseguono May I?, la ballad più famosa del repertorio ayersiano. Il video visionabile su www.youtube.com registra forse il momento più alto della carriera di Ayers che aveva in quegli anni dato alle stampe tre album cult come “Joy Of A Toy“ (1969), “Shooting At The Moon” (1970) e “Whatevershebringswesing” (1971)“ considerati il “best of” del cantante,

ma sarebbe meglio dire, del cantautore inglese originario del Kent. Ayers è infatti un chansonnier nato, capace di tessere intelligenti e surreali canzoncine pop e, con perfetta nonchalance, passare all’improvvisazione totale, alla filastrocca psichedelica, alla suite orchestrale e alla ballata folk.

Il tutto condito da testi mai banali, agrodolci e talvolta filosofici, e da una voce bassa da navigato crooner che non si prende mai troppo sul serio. Anche se la sua leggendaria indolenza, non gli impedisce di circondarsi delle persone giuste al momento giusto, che sanno come manipolare-orchestrare le sue visioni: da un Lol Coxhill, reclutato per strada mentre suona come un busker fuori dallo Swiss Centre a Londra, a David Bedford, geniale arrangiatore. E poi ci sono gli amici macchinisti, Hopper e soci sono i primi ad accorrere per aiutarlo nella sua prima fatica discografica del 1969 e l’alchimia ancora funzione come nella stupenda, Song For Insane Times, dove si ricostituisce per un attimo la magia dei vecchi tempi. In particolare Robert Wyatt non disdegna affatto di suonare la batteria nei concerti dei Whole World, il gruppo di Ayers, o a dare una mano in sala d’incisione come nella gemma Hymn da “Bananamour” del 1973. Intanto la  leggenda fiorisce, dal vivo i Whole World quando sono sobri e vogliono suonare dolci e un po’ stralunate canzoncine pop ci riescono alla perfezione. Ma ad Ayers, che pure ha talento da vendere, non gliene frega niente di avere fama e successo. A Londra, da tempo, preferisce il sole delle Baleari e dopo il botto dei primi album perde, non si sa se per colpa di troppi party o di altro, il filo rosso dell’invenzione e cominciano a mancare anche i comprimari in grado di architettare gli sfondi ideali per le sue marcette. Fonda e rifonda una girandola di formazioni (Decadence, Archibald, The Soporifcs, 747 ecc.), ma il segnale della crisi arriva definitivamente con l’ambizioso, ma inconsistente, “Confessions Of Dr. Dream” del 1974 dove figurano tra gli altri Simon Jeffes della Penguin Café Orchestra e Nico, Non manca l’occasione del grande rilancio con il live “June 1st 1974” a fianco di nomi altisonanti quali John Cale, Brian Eno, Nico, Mike Oldfield e Robert Wyatt e una rediviva May I? con un assolo da antologia del compianto Ollie Halsall alla chitarra elettrica, ma l’operazione si rivela un flop. Gli anni successivi  passano all’insegna della mediocrità con dischi che si susseguono senza lasciare il segno anche se a tratti la lucidità di un tempo riemerge in “Falling Up” del 1988 e in “Still Life With Guitar”del 1992. Oggi a 63 anni suonati e dopo 15 dall’ultima incisione ufficiale, Ayers si rimette in pista con “The Unfairground” e 10 composizioni nuove di zecca. E questa volta di carne al fuoco ce n’è tanta e soprattutto buona. Certo la freschezza degli inizi è perduta per sempre, ma Cold Shoulder con Robert Wyatt (campionato) e gli archi della Tucson Philarmonia, è un grande pezzo. E lo stesso si può dire di Wide Awake  con tanto di coretti femminili, sezione fiati scoppiettante e la swingante chitarra di Phil Manzanera a dare la carica. E non passa inosservata nemmeno Baby Come Home, una dolce ballad per chitarra e fisarmonica cantata in duo con un’altra antica conoscenza, la bravissima Bridget St John. Il resto è mestiere, ma di ottimo livello. E questa grazie anche alla produzione forse un po’ troppo laccata di Tim Shepard, artefice del ritorno di Ayers e creatore dell’artwork della copertina, che è riuscito a raccogliere intorno al cantante non solo vecchi amici (per la cronaca c’è anche Hugh Hopper al basso in Unfairground) ma anche una serie di  talenti, più o meno giovani: dagli Architecture in Helsinki a membri dei The Psychedelic Furs e dei Ladybug Transistors. Però pensare che Ayers adesso si monti la testa è fuori discussione. Probabilmente se la sta ridendo nel suo buen retiro nel sud della Francia, davanti a una bottiglia di vino per niente turbato da questo improvviso ritorno di popolarità.

 

 

     Recensione di c.b.