Musei ed emozioni, un interazione possibile di Paolo Rosa

 


Le persone hanno bisogno di rapportarsi a questa lingua per ritrovare familiarità, per capire e per esprimersi, per dar forma all’invisibile: in un museo, per intenderci, non basta più mostrare i cocci di un’anfora, ma occorre far immaginare il gesto o la vicenda che li hanno generati. Se orientata nel modo giusto, l’applicazione tecnologica può generare all’interno di un percorso museale, un significativo metalivello: il museo oltre ad essere “habitat” delle narrazioni storico artistiche, è anche campo esperienziale di questi linguaggi tecnologici, che puoi provare, scoprire, modificare in una pratica non fine a se stessa. Un luogo quindi dove immergersi nelle storie, ma dove conoscere anche il modo con cui sono narrate, confrontarsi con i dispositivi più aggiornati, nell’ottica di quel long-life learning tanto auspicato. In sostanza, si esperisce la memoria, ma contemporaneamente si sperimentano i dispositivi più aggiornati che portano al futuro.

Il linguaggio si manifesta dunque anche nel dispositivo tecnologico, sistema significante di coinvolgimento e di partecipazione, di condivisione e trasformazione continua. Corpo dell’organismo pulsante che deve divenire il museo. L’interattività di cui il dispositivo si avvale aggiunge a tutto ciò la possibilità di intervenire, di partecipare, di implementare, di essere in prima persona “protagonista” della tua visita.

L’interattività permette, inoltre, di trattenere traccia del tuo percorso e delle tue osservazioni, di poterle comparare alle altre e di raccogliere nuove informazioni frutto di un esperienza vissuta collettivamente, per comporre archivi in continua evoluzione e connessione attraverso la Rete. Immagini, filmati, testimonianze, percorsi tematici sono a disposizione dei visitatori attraverso interfacce che agiscono su arredi opportunamente modificati. Tavoli tattili e superfici calpestabili non solo sono supporto alla navigazione e alla narrazione ma, sfruttando la proprietà intrinseca all’interattività, sono anche capaci di rilevare i cosiddetti metadati esperienzali.

Sono dati, tracce cariche di emozione, generate dalle modalità di interazione da parte del pubblico. La raccolta di questi metadati, correlati ai contenuti, rende possibile una nuova organizzazione della massa d’informazioni non solo in merito a criteri di catalogazione classici ma frutto dell’esperienza vissuta collettivamente. Volontariamente e involontariamente ciascuno contribuisce alla formazione di “sentieri” e relazioni fra gli elementi contenuti negli archivi dei musei. Oltre alla classificazione il contributo partecipativo può esprimersi nella creazione e nell’inserimento di nuovi elementi (foto, video, testi, suoni o, nel caso, testimonianze orali) che aggiungono altri contenuti o li specificano.

Tutto questo avviene sempre in un contesto (l’habitat museale) che è frutto di un’operazione autoriale, ma aperta al dialogo di una navigazione personalizzata e pubblica. L’habitat contiene e determina lo stato d’animo attraverso cui esprimersi, il contesto che predispone alla singola e originale reazione. Esso diviene opera – operazione che può assumere, nell’ottica dell’avvicinamento delle due esperienze, artistica progettuale e  memoria rigenerata, una valenza del tutto nuova e originale del nostro tempo.

Se proprio, in coerenza con questi pensieri, ci dovessimo rifare ad un esempio precedente, dovremmo forse ricorrere alle modalità dei grandi cicli di affreschi: ambientali, multisensoriali, legati al territorio e alla partecipazione, sviluppati su una narratività non necessariamente consequenziale, contenitori rituali in divenire nel tempo. In questo modo il museo si carica di elementi emozionali, di impressioni. Diviene il luogo della “narrazione”, che espandendosi dalla dimensione filmica incrocia ambienti e cose, voci e persone. Lasciando “fuori di sé” una parte considerevole della pesantezza informativa che può essere delegata al suo prolungamento nella Rete. In quel sito virtuale, magari comodamente da casa, ci si può estendere tra dati e link, tra nozioni vere e quelle discutibili, si può accedere a forum e blog, conoscere musei e iniziative di analoga tematica.

Le esperienze di Studio Azzurro, sia nel campo della sperimentazione artistica con i linguaggi delle nuove tecnologie, sia nell’elaborazione e realizzazione di musei tematici, ci ha portato a queste comuni riflessioni, a immaginare le possibilità di questa ipotesi. Dopo circa dieci anni che la nostra sperimentazione si è estesa all’ambito dei musei possiamo nutrire la nostra “visione” sull’argomento con dei dati di fatto che poggiano su esperienze realizzate e osservate. Nel 1997, è stato prodotto per il New Metropolis di Amsterdam l’ambiente sensibile “il giardino delle anime” attualmente proprietà del New York Hall of Sciente. Nello stesso anno viene attivato il museo virtuale delle storie della città di Lucca. Il Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo (foto nella pagina precedente) inaugurato nel 2000 propone invece una comunicazione basata sulla cultura dell’oralità attraverso l’utilizzo di sistemi interattivi. Dal 2002, grazie al progetto europeo Bricks (Building Resources for Integrated Cultural Knowledge Services) di cui Studio Azzurro è partner, è  stata avviata una ricerca sulla condivisione di grandi archivi visivi e l’elaborazione dei dati depositati. Negli stessi anni, sono stati concepiti il percorso multimediale dedicato alla storia dei  transatlantici per il Museo del Mare di Genova e le installazioni video che narrano attraverso immagini e parole le storia della lavorazione della lana della  Fabbrica della Ruota di Biella. Più recentemente l’apertura del grande percorso museale in più di 50 postazioni nel Castello di Vinadio (foto in questa pagina) e altri centri sperimentali sulla cultura delle miniere in Sardegna e sulla storia del territorio di Formigine, mentre è in realizzazione “Il museo della Mente” a S.Maria della Pietà a Roma.

 

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