Guy Debord, il dottore in niente di Antonio Camorrino

 


Quando Anders[8] profetizzava il rischio di un sovraccarico informazionale che avrebbe depauperato l’uomo rendendolo incapace di fare esperienza e innescando il cosiddetto esproprio dell’esperienza o anche quando Agamben afferma: l’uomo contemporaneo è stato espropriato della sua esperienza: anzi l’incapacità di fare e trasmettere esperienze è, forse, uno dei pochi dati certi di cui disponga su se stesso[9] ricordano molto da vicino il pensiero di Debord, seppure egli lo esprime in una prospettiva rivoluzionaria: Ciò che lo spettacolo ha preso alla realtà, bisogna riprenderglielo. Gli espropriatori spettacolari devono essere a loro volta espropriati.[10]

È certo, però, che la concezione del fare esperienza non è assolutamente semplice da definire. Già McLuhan sosteneva in una delle sue tesi principali che la sola presenza di un determinato prodotto culturale causerebbe una serie di modificazioni, nel modo di vedere il mondo, di percepire la realtà, in altri termini nel modo di esperire. Ma questo già dall’invenzione dell’alfabeto.

C’è anche chi, probabilmente a giusta ragione, asserisce che qualsiasi esperienza, affinché si determini, necessita di una mediazione tecnica. Essa ha bisogno per essere acquisita o comunicata di essere tradotta; in quest’ottica risulta dunque discutibile la tesi secondo cui l’affermazione delle tecnologie contemporanee avrebbe causato una riduzione dell’esperienza, tutt’al più le tecnologie conferirebbero nuove possibilità all’esperire nella realtà odierna.[11]

Comunque, dato che nella nostra vita sempre più raramente ci troviamo di fronte a quelle situazioni nelle quali abbiamo fatto “realmente” le nostre esperienze e poiché il futuro arriverà sempre più velocemente e conseguentemente, quanto ci è familiare diverrà sempre più velocemente vecchio, e noi, anziché diventare autonomi, cioè adulti proprio attraverso la crescita costante dell’esperienza e della cognizione del mondo, finiremo per scivolare piuttosto nuovamente indietro nella condizione di coloro per i quali il mondo è in prevalenza, ignoto, nuovo, estraneo e impenetrabile, la condizione in altri termini, dei bambini.[12]

Dunque anche per quanto riguarda il concetto di infantilizzazione Debord si esprime altrettanto chiaramente, definendo l’individuo come incapace di farsi uomo, di accettare le sue responsabilità, costretto subdolamente dalla macchina spettacolare a una condizione di fragilità, soprattutto pscichica-emozionale, peculiarità che, per l’appunto, notoriamente contraddistingue l’età puerile.

 Ed è in quest’ottica che la società spettacolare, secondo il francese, culla, in un universo dorato dall’abbondanza delle merci e dalla sovraesposizione alle immagini il proprio prodotto: uno spettatore passivo, manipolabile e inconsapevole.

Così anche il concetto di reincanto del mondo è, trattato da Debord, seppure non esplicitamente.

Nonostante non utilizzi questo termine, egli afferma che lo spettacolo sostituisce il potere detenuto storicamente dalla religione e in seguito dalla scienza, custodendo in sé, come grazie ad un incantesimo, possibilità salvifiche per l’umanità, vendendo il proprio mondo, quello spettacolare appunto, come una dimensione superiore, fatata, in grado di esaudire i desideri.

Anche le dichiarazioni di Bruckner[13] che parla di animismo degli oggetti come culmine del consumismo e di una sorta di magia universale che impregna gli oggetti che da dietro le vetrine finiscono con l’avere una vita propria, un’anima, coincidono, attraverso il concetto di feticismo delle merci di Marx, al pensiero di Debord.

Se alcuni studiosi asseriscono oggi che l’immagine non può più immaginare il reale poiché coincide con esso[14] e dunque che un’immagine mediata dallo schermo possa divenire, infine, più “reale” dell’oggetto rappresentato, ci accorgiamo di come Guy Debord abbia veramente centrato, con anni d’anticipo, alcuni dei temi della discussione sociologica attuale.

E gliene siamo debitori.


[8] G. Anders, L'uomo è antiquato. La terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pag. 73.

[9] G. Agamben, Infanzia e storia, Einaudi, Torino 2001, pag. 128.

[10] G. Debord, cit., pag. 156.

[11] L. Caramiello,  Il medium nucleare, culture, comportamenti, immaginario nell’età atomica, Edizioni Lavoro, 1987, pag. 69.

[12] O. Marquard, cit., Cfr. pag. 124

[13] P. Bruckner, La tentazione dell'innocenza, Ipermedium libri, Napoli 2001, pag. 123

[14] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Cortina, 1996, pag. 75.

 

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