Nostalgia del futuro
di Adolfo Fattori

 


Intanto, il collante che finisce per unire questi “giovani”, nella clandestina pratica delle loro passioni – la poesia, la musica, le lingue del passato – è un vecchio, lo zio ritrovato per caso di Dufrénoy, bibliotecario ormai reso inutile dal disinteresse della società per la cultura tradizionale, e nello stesso tempo, per il nipote e i suoi amici, “maestro del passato”, custode e testimone dei valori e dei capolavori della tradizione – oltre che esempio e portavoce degli affetti e delle consuetudini della tradizione.

Quello di Verne risulta alla fine essere un romanzo apocalittico, che ci mostra un futuro, quello che lui poteva immaginare – per noi cronologicamente un passato – alternativo a quello che abbiamo conosciuto, claustrofobico e sterilizzato, che risulta semplicemente da un cambiamento di segno: dall’umanistico allo scientifico, dall’affettivo al razionale.

Ai giovani – ad alcuni di loro, almeno – spetta il compito di tenere alta la bandiera della tradizione e della memoria culturale.

Vengono in mente spontaneamente alcune catastrofiche previsioni che, più tardi, all’affacciarsi del XX secolo, verranno espresse pensando agli effetti che lo sviluppo delle tecnologie produrrà – o avrebbe potuto produrre – sull’”animo umano”, o su ciò che ad esso corrisponde[5].

Ma, ancor prima, si impone qualcosa d’altro.

E’ vero, le previsioni di Verne sugli sviluppi della tecnologia nel secolo che seguirà il suo sono del tutto sballate (e in questo non è secondo a molti degli scrittori di cose future che lo seguiranno, anche se più vicini di lui ai tempi di cui narrano), ma è anche vero che in qualche maniera lo scrittore francese – magari giusto a fini narrativi – annuncia un pericolo: quello della perdita dei legami con il passato che gli effetti della tecnologia e dello scientismo esasperato possono portare.

Una preoccupazione espressa da Verne in termini molto ottocenteschi, rivolti a quel positivismo venato di “evoluzionismo sociale” che caratterizzava i tempi in cui lo scrittore francese lavorava ai suoi primi romanzi.

Atteggiamento che cambierà in seguito, quando lo scrittore francese diventerà il cronista di un’epoca in cui si sviluppano tutti i mezzi di comunicazione, dal sommergibile, alle aeronavi, ai razzi, in una sequenza di romanzi in cui l’elemento centrale è il viaggio, la conquista dello spazio terrestre (e lunare), fino ad un macchinario (nel Castello dei Carpazi) che anticipa in qualche maniera il cinema. 

 


[5] cfr. S. Kern, Il tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna 1998 (1983), in particolare il cap. V.

 

 

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