Memorie dal Futuro - Spazio, Tempo, Identità nella science fiction
 
2001
di Adolfo Fattori
Ipernedium Libri, 2001
pag. 146
Euro 15,49

 





 
Memorie dal Futuro - Spazio, Tempo, Identità nella science fiction
di Adolfo Fattori


Nulla può rendere conto della visione della realtà di una data cultura quanto la sua percezione del tempo e dello spazio. Sulla base di questa ipotesi scienze e discipline diverse tra loro, anche se contigue, come ad esempio la storia della cultura, la sociologia della conoscenza e la sociologia dell’arte, continuano ormai da tempo ad interrogarsi sulle modalità con le quali l’uomo percepisce ed organizza socialmente categorie universali dell’esistenza quali, appunto, il tempo e lo spazio e su come tutto ciò sia essenziale alla costruzione dell’identità.

Dichiaratamente erede del lascito intellettuale di tale filone è il recentissimo Memorie dal futuro. Spazio, tempo, identità nella science fiction di Adolfo Fattori, nel quale l’Autore ripercorre la storia della narrativa e del cinema di fantascienza, considerati oggetti privilegiati nei quali cogliere lo “spirito spazio-temporale” del XX secolo. Non a caso il libro si apre con la seguente citazione:«…il tempo, lo spazio, l’identità, i tre pilastri della fantascienza» tratta dal pensiero di una delle icone della cultura cyberpunk, J. G. Ballard.

Ma perché la fantascienza? Perché in essa risalta il ribaltamento che le società moderne operano nei confronti di quelle arcaiche e pre-moderne rispetto al valore attribuito alle dimensioni temporali del passato e del futuro: laddove le seconde identificavano col passato il “luogo” deputato a spiegare, interpretare e legittimare la realtà del loro presente, le prime insisteranno su valori quali la libertà e l’autodeterminazione dei popoli e dell’Uomo, l’emancipazione, il progresso tecnico e civile, la felicità per il maggior numero, valori per la realizzazione dei quali è necessario un progetto e quindi la capacità di avere una visione prospettica dell’esistenza, una visione, cioè, proiettata al futuro. Niente di strano dunque, sostiene Fattori, che da questo stato di cose nasca la fantascienza essendo questa una narrativa che pone al centro del suo interesse le società e le tecnologie del futuro; la science fiction è un genere, o meglio, «una particolare modalità di lettura, di consumo, una particolare tipizzazione dell’immaginario, che ruota – almeno in superficie – attorno ai temi della scienza e della tecnologia, al servizio di una messa in scena dell’avventura, che le permetta di declinare così tutti i luoghi dell’immaginario stesso».

Ma con l’approssimarsi di quella che l’Autore definisce tarda modernità e che, forse, data la frattura intervenuta specialmente nella percezione del tempo e dello spazio e nelle teorie sull’identità, sarebbe più corretto definire postmodernità, la corsa febbrile all’anticipazione del futuro si esaurisce lasciando il campo ad un forte senso di spaesamento e di disorientamento cognitivo che inciderà sensibilmente sull’identità, intrappolandola in un presente sempre meno comprensibile e rendendola frammentata, superficiale, multipla. Se l’uomo moderno aveva dovuto fare i conti con l’alienazione questo non è più possibile nella postmodernità, in quanto l’alienazione presuppone un sé centrato ed unitario al quale l’individuo si sente estraneo, un sé che il pensiero postmoderno ha frantumato in traiettorie isolate ed indipendenti l’una dalle altre. È per questo che l’individuo contemporaneo non soffre più di alienazione, bensì di schizofrenia. La fantascienza di questo periodo si trova ad essere specchio e riflesso di tale stato di cose:«le storie e i personaggi che mette in scena – nel cinema come nei romanzi – ruotano tutti intorno alle interrogazioni sull’identità e sulla natura della realtà», navigando e sfruttando quella «dimensione vasta come lo spazio ed eterna come l’infinito, che sta nella terra di mezzo tra la luce e l’ombra, tra la scienza e la superstizione, tra il fondo delle paure umane e il sommo della sua conoscenza», che è la dimensione dell’immaginazione.

Come si può notare, Fattori tocca temi di straordinaria profondità e importanza per la teoria sociologica attuale e lo fa senza mai annoiare grazie alle frequenti citazioni ed incursioni in campo cinematografico e in quello della narrativa; di quest’ultimo delinea anche in via preliminare una breve storia che parte da quegli autori che Egli considera i pionieri del genere, come Verne, Salgari e Wells presi quali esempio della coscienza di un tempo che cambia; passa per i classici Anderson, Asimov, Heinlein, Van Vogt, Williamson, ecc.; e giunge sino ai più recenti Ballard e Dick e al già citato genere cyberpunk considerato non come un’invasione del genere fantascientifico, bensì come una sua «moderna riforma». Un metodo che forse talvolta pecca di sistematicità e linearità, ma che, d’altro canto, potrebbe conquistare il favore di un intellettuale del calibro di Jacques Derrida, per il quale il senso di un testo è disseminato, fatto, cioè, proprio di concatenazioni e rimandi.

Inoltre, l’Autore, nella convinzione che non sia possibile misurare appieno lo sviluppo e il prosperare dell’immaginario fantascientifico se non cogliendolo nei suoi intrecci con altre sfere del sistema sociale, getta un occhio attento all’evoluzione dei mass media (radio, cinema, TV e anche fumetto), alle trasformazioni dell’organizzazione sociale e alle mutanti condizioni di vita nelle moderne metropoli, consentendosi l’azzeccato ardire di accostare un media event come lo sbarco dell’uomo sulla luna del 1969 ed un road movie dello stesso anno, Easy Rider. Azzeccato perché questi due “oggetti” hanno in comune il porsi come origine simbolica dell’attuale appiattimento temporale sul presente: il primo rappresentando la fine del futuro avvenuta tramite il suo compimento; il secondo realizzando nel viaggio senza meta, nella fuga senza fine, la rottura con una tradizione traditrice nella quale i protagonisti non possono e non vogliono più riconoscersi.

In definitiva, il libro di Fattori risulta sicuramente ricco e ben articolato sul piano orizzontale, cioè quello delle citazioni e dei riferimenti, senza che, per questo, l’Autore abbia dovuto sacrificare troppo il piano verticale, quello cioè della profondità delle analisi da Lui condotte.



 

Recensione di Gianpaolo Iannicelli