Maestri stellari alle prese
con alunni spaziali

The Oakland Elementary
School Arkestra

The Saga of Padani
Modern Harmonic, 2018

The Oakland Elementary
School Arkestra

The Saga of Padani
Modern Harmonic, 2018


Prendete centocinquanta studenti di età compresa tra i nove e gli undici anni, provenienti da tre classi differenti di tre diverse scuole, e fornitegli un armamentario strumentale ben variegato: flauti, clarinetti, sassofoni, trombe, tromboni, violini, viole, violoncelli, contrabassi, chitarre, percussioni.
Ora disponete le forze in campo, ipotizzando varie formazioni, dal quartetto al duo fino a gruppi più estesi, in modo che possano dare vita tanto a solidi impasti bandistici tra gli ottoni quanto ad atmosferiche soluzioni puntilistiche, oppure abili e agili nel virare verso stili non occidentali.
Infine, mettete a capo del tutto un direttore, o meglio un maestro di musica capace di tenere conto delle esigenze didattiche di base e al tempo stesso di osare una forma d’insegnamento della musica più libero, aperto, orientato allo spaesamento. Il risultato sarà a dir poco strabiliante, un’esperienza d’ascolto in grado di proiettarvi in una sorta di paese delle meraviglie sonore, a patto di liberarsi di preconcetti e logiche in odor di muffa. Semplice? Per nulla, infatti le cronache terrestri riportano un solo caso di tal fatta discograficamente documentato: The Saga of Padani dell’ensemble The Oakland Elementary School Arkestra. Lo ha pubblicato con amorevole cura la Modern Harmonic, sia in cd che in doppio ellepì, quest’ultimo dalla confezione mirabolante con tanto di album allegato da colorare (titolo: The Sun Ra Interplanetary Activity Book) con i personaggi e i costumi dell’Arkestra di Sun Ra, vero nume tutelare di tutta la faccenda. Il perché è presto detto: si tratta di un’impresa musicale davvero spaziale, di un altro mondo, o meglio di un altro modo di intendere il mondo.

Musica sorprendente, stupefacente, composta da trame sonore mai statiche o stagnanti ma fluttuanti in modo sempre inatteso. E oltre all’affinità elettiva tra i protagonisti di questa storia e il musicista che veniva da Saturno, questi è anche stato tirato in ballo direttamente, come si vedrà più avanti.
Non sorprenderà, inoltre che tutto accadde nella terra delle menti più visionarie, folli, bruciate del pianeta, oltre che di quelle capaci di concretezza e prassi che progetta e raggiunge obiettivi: la California. Gli studenti sono quelli degli ultimi tre anni di tre scuole elementari di Oakland e l’insegnante si chiama Randy Porter.
La vicenda è di quelle che meritano di essere raccontate.
Siamo nel 1993 e Porter, dopo essersi laureato all’università di Los Angeles, bazzica una compagnia di musicisti dal nome eloquente: Berkeley Home of the Musically Insane. Ama la musica ma è anche attento a coprirsi le spalle per farsi una vita e così inizia a insegnare musica nelle scuole elementari di Oakland: Monclair, Chabot e e Thornill.
Porter ha ben presente che i ragazzi hanno bisogno di imparare a leggere la musica e suonarla, quindi non tralascia di impartire i fondamentali, ma decide di includere nelle lezioni anche l’attività dell’improvvisazione, stabilendo che questa si svolgerà solo a determinate condizioni.
La regola del metodo la definisce “limited resource improvisation”, laddove la risorsa limitata è il suono stesso. Si deve iniziare suonando solo una nota, una sola volta e da lì iniziare a differenziare, a passare a tre note, a suonarne una forte e due pianissimo e così via. I risultati sono incoraggianti e nel 1994 Porter decide di organizzare anche sei sedute di registrazione, due in ciascuna scuola coinvolgendo un centinaio di ragazzi e ne ricava materiale che pubblica in una raccolta in cd intitolata Big Music, Little Musicians.
Tutto ciò si rese possibile anche per una fortunata coincidenza. Tra gli alunni di Porter c’erano due figli di Anthony Braxton, a sua volta insegnante nella Bay Area. Il numero uno del jazz d’avanguardia statunitense partecipò a un concerto di beneficienza il cui ricavato serviva a pagare lo stipendio a Porter. Sostegno economico e stimolo allo studio perché la performance del polistrumentista e compositore chicagoano impressionò favorevolmente i ragazzi. Forte del buon esito, Porter proseguì il suo percorso didattico facendo leva sul repertorio registrato dai suoi ragazzi, che includeva un brano intitolato Around D, disinvolta trascrizione del celeberrimo In C di Terry Riley, in pratica la Bibbia del minimalismo in musica.

Non solo, un altro mostro sacro delle musiche di confine era stato preso di mira dai suoi studenti, ovvero un classico del sopra citato Sun Ra intitolato Planet Earth, qui reso simile a una danza dove marionette spaziali intrecciano i loro fili producendo un marasma cacofonico pulsante. Convinto della bontà dei risultati, Porter inviò a Riley e ai membri dell’Arkestra (il leader maximo era scomparso da poco, o meglio aveva lasciato il pianeta Terra il 30 maggio del 1993) copia del cd, che venne apprezzato, sorprendendo per la freschezza dell’esito di tutta questa attività, ricordiamolo, scolastica.
Non contento, Porter porto un po’ di studenti a sentire la favolosa Arkestra in occasione di un concerto in programma proprio a Oakland, riuscendo anche a organizzare una jam privata tra i musicisti solari e i suoi ragazzi, chiamati prima a turno e poi tutti insieme. Siamo giunti nel 1997 e i tempi si sono fatti maturi per una seconda uscita discografica. Porter la intitolò The Thornhill Sound e coinvolse la sua band dell’epoca, The Manufacturing of Humidifiers, e alcuni musicisti d’avanguardia operanti nella Bay Area, e che musicisti! Porter arruolò Riley, i membri dell’Arkestra Marshall Allen, Tyrone Hill e Dave Gordon, il chitarrista Fred Frith (che ha suonato ovunque, dagli Henry Cow agli Art Bears e così via) e Dave Slusser (ance ed elettronica) noto anche per alcuni trascorsi in compagnia di John Zorn.
Ancora una volta, anche inorgogliti dalla presenza di tali maestri, i ragazzi di Oakland ci diedero sotto, spaziando tra i generi con estrema disinvoltura, dal minimalismo all’exotica, dall’impressionismo più astratto al free jazz. Le due pubblicazioni ebbero discreta circolazione nella Bay Area, guadagnando apprezzamenti anche illustri, per esempio quello del Kronos Quartet e poi tutto finì lì. Quasi, perché a distanza di anni si è rimesso mano a quel materiale e così nasce The Saga of Padani, che altro non è che la selezione delle performance più riuscite, selezionate dallo stesso Porter. Per chi ne uscirà del tutto stregato, la Modern harmonic ha reso anche disponibili i due volumi originali da cui proviene questo florilegio.

Tutti in classe, si comincia!
Il classico suono della campanella posto in apertura (i sei secondi di Big Crescendo # 2) dà il via a una collezione memorabile, sapientemente variegata. Ci sono una serie di deliziose prove d’autore, perché molte sono le composizioni scritte dagli studenti e alcune sono spiazzanti per la loro felice imperfezione e le movenze aliene, come Help! I’m Drowing in a Sea of Harmony! (che titolo splendido), o vi si incontrano improvvisazioni autogestite, per esempio l’inquietante Night, con strumenti a corde e poi un flauto a disegnare l’oscurità. Brani non solo composti, ma anche eseguiti dai ragazzi senza sostegno di musicisti adulti, oppure brani che li vedono eseguire composizioni scritte appositamente per loro, come nel caso di Tailgaters’ Lullaby per i trombonisti (bravissimi) della scuola di Thornill dal suddetto Tyrone Hill.

Spiccano le cover, tutte prelevate dal repertorio dei maestri dell’altrove: di Sun Ra si recuperano anche We Travel The Spaceways con Marshall Allen a condurre una sontuosa danza tra gli astri, e Love in Outer Space coinvolgendo Riley e Slusser, di quest’ultimo si esegue Bambi Meets Godzilla, una sorta di Frankenstein sonoro, frutto del taglia-e-cuci di ben quarantasette estratti dalle performance dei ragazzi. Di un compito assegnato da Frith si propone un estratto (Excuse Me, Ms. Steigerwald) ed è una festa di cordofoni da un’altra dimensione. E che ci troviamo altrove lo conferma la ripresa del tema di The Twilight Zone, ovvero Ai confini della realtà, riletto per quartetto di strumenti a corde. Il nuovo condottiero dell’Arkestra, Allen, regala altre perle in Evening Mist e Groove. L’edizione in vinile presenta in scaletta un brano in più, The Edge, turbinosa cacofonia che nei suoi momenti di surriscaldamento rimanda ancora una volta all’Arkestra originale, maestra nell’infiammarsi repentinamente, come si addice ai motori di un’astronave in partenza.
Tra le altre Favorite Things ci sono le prove per grande ensemble, le roboanti The Rhythm Czar (centoquarantacinque studenti coinvolti) e Chunkle (circa cento i musicanti) che fanno collidere cartoons ed exotica e il brano eponimo condotto e cantato da Terry Riley accompagnato da un’ampia sezione d’archi e coro. Il nome altro non è che la sequenza dei nomi di alcune delle note del sistema musicale indiano, così come vengono enunciate nella forma del loro solfeggio sillabico: Sa –  Ga – Pa – Da – Ni. Un mantra rivolto all’infinito. Come scrive Brother Cleve nelle note di copertina, anche se alcuni potrebbero aver da ridire sulle esecuzioni, “altri potrebbero ascoltare la musica da una dimensione parallela, da un luogo in cui le note potrebbero essere così sbagliate da essere giuste”. O per parafrasare una celeberrima considerazione fatta da Thelonious Monk, gli errori dei ragazzi qui non sono mai quelli sbagliati.
Porter ancora insegna a Oakland e chissà che altro starà covando. Una spedizione su Saturno?